STOCCARDA – Il 25 marzo si è insediato il nuovo Parlamento frutto delle elezioni del 23 febbraio. I nuovi Bundestag e Bundesrat hanno ricevuto in dote dai loro precedessori della precedente legislatura l’approvazione del pacchetto finanziario proposto da Unione e Spd per investimenti in difesa e infrastrutture. Si trattava dell’ultimo ostacolo parlamentare al progetto del futuro Governo, che prevede la riforma del freno all’indebitamento per le spese per la difesa e un fondo speciale del valore di 500 miliardi per infrastrutture e protezione del clima (quest’ultimo punto inserito dai Verdi come contropartita per il loro voto favorevole).
Nel frattempo, secondo Handelsblatt, le cose sembrano migliorare. L’indice Ifo è salito a 86,7 punti a marzo dai 85,3 di febbraio. “Il primo trimestre sembra promettente”, ha affermato Cyrus de la Rubia, capo economista della Hamburg commercial bank (Hcob). Grazie al pacchetto di stimoli economici previsto dal Governo entrante, questo potrebbe essere l’inizio di una ripresa più sostenibile.
Cosa ne pensa Clemens Füst? Secondo il presidente dell’Ifo, l’ottimismo è più che altro dovuto alla speranza di un miglioramento, più che a un miglioramento effettivo. La riforma del freno all’indebitamento è stato un passo importante, ma occorre lavorare sulla burocrazia e aumentare l’offerta di lavoro.
“Essere nemici degli Usa può essere pericoloso, ma esserne amici è fatale”. Cosi si esprimeva Henry Kissinger negli anni ’70. Sostituendo “Kissinger” con “Trump” e “Usa” con “Ue”, l’equazione rimane valida anche nel 2025. “Ma spesso gli amici, i cosiddetti amici, sono peggio dei nemici. Basti pensare all’Unione europea, a quello che ha fatto a questo Paese, al modo in cui l’ha messo in ginocchio”: questa la frase pronunciata di recente dal Presidente americano, riportata dal Corriere della Sera.
Risultato: >a href=”https://www.ilsussidiario.net/news/dazi-politica-il-report-che-svela-la-tattica-di-trump-e-i-problemi-delleuropa/2817151/” target=”_blank” rel=”noopener”>i dazi incombono e l’export tedesco verso gli Usa potrebbe subire una battuta d’arresto. Ma secondo Handelsblatt, questo inconveniente potrebbe aprire la strada a nuovi mercati, quali Vietnam, Thailandia e Singapore, che stanno facendo registrare tassi di crescita significativi, anche se i volumi sono più contenuti.
Al di là dei balletti delle cifre che si alternano con cadenza mensile, è opportuno estendere lo sguardo su un orizzonte di medio-lungo periodo. Ci aiuta un rapporto dell’Istituto dell’economia tedesca di Colonia, dal titolo “Dominio tedesco nel commercio estero: dove la Germania è ancora campione del mondo”.
I dati mostrano una chiara predominanza degli Usa tra i Paesi industrializzati: gli Stati Uniti hanno infatti 347 beni dominanti. Tuttavia, la Germania, con i suoi 180 beni dominanti, si comporta relativamente bene nel confronto internazionale e lascia indietro, ad esempio, l’Italia (141), la Francia (73) e il Giappone (100). “Con 1.535 beni dominanti, la Cina è in una lega a parte”, si dice riguardo al Paese asiatico, che non è considerato nel rapporto un Paese industrializzato, anche se dispone del 30% della capacità manifatturiera mondiale.
Analizzando la situazione tedesca, si nota che circa due terzi dei beni che dominano le esportazioni provengono dai settori chimico, meccanico/elettrico e dei metalli di base. Relativamente poche merci appartengono invece ai settori dell’alta tecnologia e della sicurezza strategico-militare. Ma ci sono anche beni per i quali la Germania detiene una quota di esportazione globale addirittura superiore al 90%, come ad esempio alcuni fertilizzanti e antidolorifici, nonché alcuni prodotti chimici. Nel settore dell’ingegneria meccanica/elettrica la quota di esportazione globale supera il 50%, ad esempio per determinati microscopi, macchine da raccolta, strumenti di controllo e autogru.
Continua nel frattempo l’escalation della potenza economica cinese. Nel 2025 ci saranno negli showroom australiani più marchi automobilistici cinesi, che promettono una scelta più ampia e prezzi più bassi nel tentativo di affermarsi tra gli acquirenti australiani. Il mercato Down Under è conteso da più di sessanta marchi, con la casa automobilistica giapponese Toyota in pole position da oltre due decenni.
L’Australia, non avendo un’industria autoctona da proteggere, non ha imposto dazi alle importazioni e i marchi cinesi stanno facendo breccia: le vendite di quasi tutti i produttori cinesi sono aumentate nel 2024, anche se molti sono partiti da un livello basso. Un segnale d’allarme per l’industria europea, se ancora ce ne fosse bisogno.
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