BERLINO – Un paese quasi fallito, un paziente in fase terminale, un organismo irrimediabilmente malato. Questa è l’impressione che si ricava leggendo i titoli che alcuni quotidiani tedeschi dedicano all’Italia. The Waste Land, verrebbe da dire citando l’opera di T.S. Eliot.

A nord delle Alpi non sono mai stati indulgenti; certi difetti strutturali nella gestione del bene pubblico hanno sempre attirato commenti sferzanti sulle capacità organizzative italiane, commenti che però erano anche accompagnati da dichiarazioni di stupore. Perché nonostante i difetti che avrebbero ammazzato un elefante, l’Italia andava avanti, produceva, creava, esportava, era viva insomma. Oggi quel senso di stupore, quell’eppur si muove che sottintendeva una certa ammirazione, ha lasciato il posto a una preoccupazione quasi angosciata.



I tedeschi amano i dati, e i dati italiani sono devastanti. L’export italiano nel 2020 è crollato dell’11% (dati Ispi), il Pil del 9%, con il rimbalzo sperato del 4% nel 2021 messo in pericolo dalla seconda ondata Covid di cui non si intravede la fine. L’Inps comunica una variazione annua di ore di cassa integrazione rispetto al 2019 dell’892%, mentre secondo il sito di prenotazione online The Fork le prenotazioni ai ristoranti sono calate del 93% rispetto all’epoca pre-Covid ed è probabile che nel 2021 molti ristoratori cesseranno l’attività. In generale è crisi nera per tutte le attività commerciali. Secondo Unioncamere, quasi due terzi delle imprese commerciali dichiara riduzioni del fatturato per il 2020 e Confesercenti parla di 90mila imprese pronte a chiudere entro la fine dell’anno. Considerando che molte di queste imprese sono a conduzione famigliare, verrà a mancare il sostentamento per interi nuclei famigliari.



A tutto ciò si aggiunge la difficoltà cronica del nostro paese a risolvere i suoi problemi strutturali, con la conseguenza che “dall’inizio degli anni Novanta a oggi, dopo ogni crisi negli ultimi 30 anni, l’Italia si è appiattita su ritmi di crescita man mano più modesti ed è l’unica grande economia in Europa a mostrare un profilo in tendenziale diminuzione: nei 30 anni tra 1991 e 2021 (stime della Commissione europea per il 2020-2021) il Pil italiano ha accumulato una distanza di 29 punti percentuali dalla Germania, 37 dalla Francia, 54 dalla Spagna. In termini di Pil pro-capite, con la crisi da Covid-19 l’Italia è tornata ai livelli di fine anni Ottanta”. (fonte: Confindustria)



E questo è solo l’antipasto, la vera botta arriverà dopo. Quando l’economia mondiale uscirà dal tunnel del Covid si troverà con molti più debiti. Avrà preso a prestito dal futuro per sopravvivere alla pandemia. Poiché l’indebitamento del mondo è in crescita da decenni, è molto probabile che alla crisi pandemica ne segua una finanziaria molto più pericolosa di quella del 2008. Bisognerà poi rientrare dai disavanzi gonfiati dai provvedimenti Covid in una situazione economica incertissima, una crisi finanziaria alle porte e una congiuntura mondiale negativa. Per un paese indebitato su valori che giravano intorno al 134% sul Pil in epoca pre-Covid, questo significa uscirne con un 160%, se andrà bene. Dopodiché sarà subito Troika, sarà subito commissariamento di Bruxelles, sarà subito perdita di quella sovranità residuale che la nostra Costituzione aveva messo non a caso all’articolo 1.

Mentre in Germania Angela Merkel incontra settimanalmente i produttori di automobili, elargendo aiuti che a novembre hanno raggiunto i 5 miliardi di euro, parte dei quali legati alla svolta green del settore, in Italia il capo del governo si barrica nel fortino Coviddi e non incontra nessuno, a parte Casalino. In un iperattivismo superficiale, che è poi l’unico motivo su cui si regge la sua sopravvivenza, annuncia misure durissime per tenere sotto controllo una pandemia che è così grave quasi solo da noi, ma nulla dice sui motivi del perché il virus picchi così duro, mentre a nord delle Alpi, sebbene preoccupi non poco, uccida molto meno.

I tedeschi guardano e scuotono la testa. In un articolo dell’era pre-Covid, il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung descriveva la “malattia italiana” in questi termini: bassa produttività del lavoro, corruzione diffusa, inefficienza dell’apparato statale, sistema clientelare, caos burocratico, evasione fiscale fuori controllo. Il tutto senza nemmeno la bozza di una riforma in vista che almeno tenti di alleviare alcuni di questi difetti. Il concetto era sintetizzato in una frase riportata in inglese: “In other words, familyism and cronyism are the ultimate cause of the Italian disease”. Il problema cronico di una classe dirigente attaccata ai suoi peggiori difetti non poteva essere riassunto in modo migliore.

Nessuno può dire con certezza in che condizioni sarà il mondo post-Covid. Sarà un ambiente ostile, con sbarramenti alle frontiere, rivolte in ogni dove stile Parigi e assalti ai forni, oppure si tornerà a una situazione di normalità? In attesa di scoprirlo, per quanto riguarda il nostro paese la stampa tedesca sembra propendere per la prima ipotesi, almeno a giudicare dai titoli. Eccone alcuni: “L’Italia conferma i peggiori timori. Miliardi di aiuti e nessun piano in vista. Rischio paziente in terapia intensiva. Un paese al limite. Anche senza coronavirus sarebbe crisi. Nella terra delle rovine”.