STOCCARDA – Di tutto si può accusare la politica italiana, tranne che di essere noiosa. C’era un tempo, non lontano, in cui questa accusa poteva invece essere legittimamente rivolta alla Germania: cinque governi Kohl, quattro mandati Merkel, sempre gli stessi partiti, nessuno scandalo sessuale. Da qualche settimana, però, la politica tedesca ha impostato un ritmo più spumeggiante, con il ribaltone sul budget della Bundeswehr e altre sorprese in arrivo.



La svolta è ovviamente da attribuirsi alla guerra in Ucraina, che ha proiettato l’Europa in una nuova realtà. Ceterum autem censeo Carthaginem esse delendam: alla Germania non resta che adeguarsi. Nel nuovo mondo, la scelta non è infatti tra disaccoppiarsi dalla Russia e continuare come prima. L’alternativa al disaccoppiamento verso Est, con perdita di gas ed export, è lo svincolamento dal blocco occidentale, con il rischio di pagare un prezzo molto più alto: partendo dai dazi sulla Kartoffelsalat, passando per il ban dell’abbinamento sandali Birkenstock-calzini bianchi, fino ad arrivare alle misure più devastanti, come il blocco degli account di Facebook e Youtube, che farebbero precipitare l’intero Paese in un abisso di disperazione.



L’unica, flebile speranza di tornare al mondo di prima è legata all’esito dei negoziati in corso fra le parti. A tal proposito, sarebbe stato interessante avere più dettagli sul contenuto dei colloqui intercorsi tra Putin, i leader europei e Biden. Il ministro Di Maio avrebbe potuto e dovuto proporre la modalità degli incontri in streaming, secondo lo standard del M5S dei primi tempi: un’occasione persa per esportare un pò di democrazia. Con queste amare considerazioni, chiudiamo il capitolo di fanta-geopolitica e torniamo a questioni più pratiche.

Una prima questione riguarda la politica energetica. Mosca minaccia di interrompere la fornitura di gas all’Europa come ritorsione alle sanzioni. La quota russa rappresenta il 55% del totale importato in Germania: il resto proviene da Norvegia, Olanda e altri Paesi, che non sarebbero però in grado di aumentare l’offerta. C’è poi l’opzione di rinunciare volontariamente al gas russo, per sostenere la lotta del popolo ucraino. Secondo Christof Heusgen, presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, la popolazione tedesca sarebbe favorevole alla proposta, anche a costo di battere un po’ i denti per il freddo. Per ora Scholz e Lindner hanno rifiutato, ma la pressione sul Governo aumenta con il protrarsi della guerra.



Discorso analogo per il petrolio. Chris Wheaton, analista della banca di investimento Stifel, sostiene che un boicottaggio del petrolio russo potrebbe far salire il prezzo del barile a livelli mai visti. “Il prezzo della libertà è di 200 dollari al barile di petrolio greggio: è quello che potrebbe costare se il mondo smettesse di usare il petrolio russo”, scrive Wheaton in un recente studio. Come misura di ultima ratio per calmierare i prezzi di gas e petrolio, il Governo potrebbe ricorrere, stando ad Handelsblatt, alla nazionalizzazione delle aziende energetiche.

Una possibile soluzione per ridurre il gap energetico consiste nel posticipare il phase-out del nucleare. Markus Soeder, presidente del Bundesland della Baviera nonché esponente di spicco del partito CDU-CSU, propone di prolungare di 3-5 anni la vita degli impianti ancora attivi e anche di rimettere in funzione quelli già fermi. Secondo Wolfgang Renneberg, ex capo della commissione per l’energia nucleare del ministero federale per l’Ambiente, intervistato da Der Spiegel, si tratta di una soluzione con un rapporto costi/benefici molto sfavorevole, per tre ordini di motivi: mancanza di combustibile, mancanza di personale qualificato, problemi di sicurezza.

Un’altra ragione per non re-investire sul nucleare è stata messa drammaticamente un evidenza proprio dalla guerra russo-ucraina. Le centrali nucleari, oltre a poter subire incidenti in stile Chernobyl e Fukushima, possono diventare obiettivo di attacchi militari (e forse anche informatici), da parte di potenze ostili e/o di gruppi terroristici: le conseguenze sarebbero catastrofiche (con le pale eoliche, il peggio che possa accadere è che un rotore fuori controllo faccia strage di volatili). La soluzione nucleare, che è vista con scetticismo dalle stesse aziende energetiche che gestiscono gli impianti, sembra quindi avere scarse chances di essere presa in considerazione.

Secondo Stefan Schneider, analista di Deutsche Bank intervistato da Handelsblatt, i prezzi attuali e futuri dell’energia potrebbero portare a una recessione: le previsioni per la crescita economica vengono riviste al ribasso. L’industria potrebbe avere dei problemi, in particolare i settori più energivori: chimica, meccanica, automotive. Un ulteriore problema è rappresentato dalla mancanza di altre materie prime (ad esempio, il Nichel) e semilavorati (ad esempio, i cablaggi) che provengono dall’Ucraina e/o dalla Russia. Si prospetta quindi uno scenario di stagflazione: stagnazione (o recessione) accompagnata da inflazione.

Chiudiamo con una nota di speranza, se non proprio di ottimismo. Il mercato del lavoro tedesco continua a dare segnali positivi, con molte posizioni aperte. L’arrivo dei profughi ucraini potrebbe essere, sempre secondo Schneider, un’occasione “win-win” per coprire i posti vacanti. I portafogli ordini delle aziende continuano a essere pieni: se la situazione in Ucraina si stabilizza, l’economia e i mercati potrebbero avere una buona ripartenza. Certo, le cose che possono andare storte sono numerose, e molte lo stanno già facendo.

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