BERLINO – “È giusto che sia morto, se lo è meritato. Aveva offeso il profeta”. Con questa esclamazione uno studente della terza media di una scuola di Berlino ha interrotto il minuto di silenzio dedicato al povero Samuel Paty, l’insegnante francese decapitato dai fondamentalisti islamici per aver mostrato in classe le vignette su Maometto pubblicate da Charlie Hebdo. Invece di replicare a tono l’insegnante è rimasto in silenzio, confessando poi sui social di aver taciuto per timore di rappresaglie. Intimorito da un alunno di 13 anni e dal possibile intervento di qualche membro del suo clan famigliare. Lo riporta il quotidiano berlinese Tagesspiegel, che ha dedicato un articolo ai molti casi analoghi accaduti nelle scuole berlinesi.



In molte scuole della capitale tedesca, ma il fenomeno si è manifestato in tutte le città con una comunità consistente di immigrati musulmani, si è assistito a casi simili. Il quotidiano berlinese scrive che interruzioni del minuto di silenzio dedicato all’insegnante vittima degli islamisti sono avvenute soprattutto nelle scuole situate nei quartieri difficili. Quelli dove si è concentrata l’immigrazione dai paesi musulmani come Turchia, Libano e, dopo la grande immigrazione del 2015, Siria, Afghanistan e Nordafrica.



Il vicepresidente dell’associazione per la gestione delle scuole di Berlino racconta che in certe classi dove la quota dei musulmani è alta, basta menzionare la parola Israele per scatenare un putiferio di cori contro gli ebrei. Gli insegnanti temono di fare la fine del povero Paty e lasciano correre. Proprio come negli anni Venti del secolo scorso, quando le camicie brune naziste interrompevano le lezioni al grido Juden rauss, fuori gli ebrei e gli insegnanti stavano zitti per timore di rappresaglie.

Dopo anni di omertà in cui il senato berlinese a maggioranza di sinistra ha sistematicamente impedito ogni discussione accusando di razzismo e islamofobia chiunque provasse anche solo a menzionare il problema, la situazione è diventata esplosiva. Il quotidiano Die Welt, che ha dedicato un lungo articolo al caso, fa notare come la rottura del minuto di silenzio sia solo la punta dell’iceberg. Gli insegnanti, che hanno sempre evitato di parlare di certe cose per timore di essere stigmatizzati come razzisti, iniziano finalmente a parlare e raccontano di una situazione surreale dove, ad esempio durante l’ora di storia quando si tratta il tema del nazismo, gli alunni musulmani interrompono la lezione esclamando che Hitler fece bene a gasare gli ebrei. In altre occasioni, quando vengono trattati temi di attualità, le lezioni sono interrotte da urla che inneggiano all’onore di Erdogan. Proprio come cento anni fa, quando i futuri Hitlerjugend urlavano a squarciagola il nome del loro amato Führer ogni volta che a lezione si menzionava il trattato di Versailles o il problema dei confini orientali.



Il problema sono le famiglie, sostengono molti docenti che dopo la decapitazione di Samuel Paty hanno deciso di infrangere l’omertà. Per i genitori di questi ragazzi gli ebrei sono la causa di tutti i mali e la religione regola ogni istante dell’esistenza. Eppure, di norma l’adolescente ha la tendenza a ribellarsi ai costumi troppo rigidi imposti dagli adulti, mentre gli adolescenti musulmani per certi versi sono perfino più conservatori dei loro genitori. Lea Hagen, insegnante di storia di una scuola difficile di Berlino, racconta al quotidiano berlinese che i ragazzi si radicalizzano grazie a una narrativa che descrive il musulmano che vive in Europa come vittima. Fin da bambini sviluppano il concetto di noi (musulmani devoti all’islam) oppressi e voi europei colonialisti oppressori.

Va notato come questa narrativa sia stata prodotta e incentivata dalla sinistra, non solo radicale, che ne ha fatto il cavallo di battaglia delle sue politiche culturali, impendendo in questo modo qualsiasi discorso critico sull’islam. Così non si è sviluppato un senso di appartenenza comune e molti adolescenti musulmani non si riconoscono nella democrazia tedesca.

E trovano chi li incoraggia in questo. Sono i clan famigliari, le organizzazioni criminali, gli islamisti radicali che controllano i quartieri a maggioranza musulmana esattamente come le cosche mafiose controllano certi quartieri di Palermo. Un’integrazione riuscita dei musulmani nella società tedesca minerebbe il loro potere sulla comunità, per questo vi si oppongono con tutti i mezzi reclutando i ragazzini e indottrinandoli al disprezzo e all’odio verso l’occidente.

E poi c’è l’islam politico costituito da una serie di associazioni come i Fratelli musulmani egiziani o i Lupi Grigi turchi o le associazioni turche, che esternamente fingono di favorire l’integrazione ma internamente predicano l’odio contro l’occidente. E l’assurdo è che la politica tedesca ha finanziato queste strutture per anni e in nome dell’antirazzismo ha ostacolato interventi energici contro i clan mafiosi mediorientali. Un disastro.

Le parole dello scrittore e saggista tedesco di origini egiziane Hamed Abdel-Samad a tale riguardo non lasciano dubbi: “L’immigrazione dei musulmani in Europa nel complesso non è una storia di successo. Basta guardare i fatti. La prima generazione aveva lavoro e quasi nessun problema con la società europea. Ma la terza generazione, nata e cresciuta qui, quindi il prodotto del nostro sistema educativo, trova la nostra libertà poco attraente e preferisce fare il tifo per Erdogan, un sovrano autoritario che in realtà sta distruggendo la democrazia in Turchia guidando l’islamizzazione del paese. Non possiamo parlare di integrazione di successo. Se si considera che il 43% dei disoccupati in Germania ha un retroterra migratorio e che la maggior parte di loro sono turchi e arabi, allora non possiamo parlare di successo. Se si guarda al numero di salafiti che sono raddoppiati negli ultimi dieci anni, al numero di soggetti classificati come potenzialmente pericolosi dalla polizia, che è triplicato, quando si vedono i simpatizzanti dell’Isis e dei fondamentalisti, quando si vedono i problemi nelle scuole – antisemitismo e violenza – allora è una menzogna parlare di integrazione di successo. Una storia di successo è l’immigrazione dal Vietnam. Il 75% dei vietnamiti in Germania fa la maturità mentre nel caso dei turco-tedeschi sono solo il 36%. Il divario educativo tra i musulmani e gli altri, non solo in Germania ma in tutta Europa, è devastante. Non si può certo parlare di successo. La maggior parte delle donne musulmane in Germania non hanno la libertà di sposare l’uomo che vogliono. La maggior parte delle donne musulmane non può vivere da sola. La maggior parte degli studenti musulmani ha problemi a scuola. La maggior parte dei musulmani in Germania vive in una società parallela” (da: Integration. Ein Protokoll des Scheiterns, Droemer Knaur ed., 2018).

Va detto che la concentrazione dell’immigrazione turca in Germania in quartieri ghetto non ha facilitato l’integrazione delle generazioni successive, come pure una certa ostilità della società tedesca, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, verso gli immigrati di origine mediorientale. Ad ogni modo le conseguenze di questa situazione iniziano a farsi sentire. Secondo un sondaggio recente lanciato dall’associazione tedesca “Monitor delle religioni”, chiamato “Diversità di vedute e democrazia”, il 70% degli interpellati è dell’opinione che il pluralismo religioso arricchisca la società. Il dato però crolla quando si parla di islam. Soltanto un terzo degli interpellati è dell’idea che l’islam sia un arricchimento per la società tedesca mentre cristianesimo, ebraismo, induismo e buddismo vengono percepiti positivamente dalla maggioranza. A questo scenario fallimentare la sinistra reagisce nascondendo la testa sotto la sabbia e urlando al razzismo e all’islamofobia mentre la destra invoca Guantanamo. Ma ora che un insegnante ci ha rimesso la testa e altri sono stati minacciati, il problema non può più essere ignorato per timore di urtare la sensibilità di qualcuno oppure essere risolto solo con la repressione.

In realtà esiste una terza via. Esiste sempre una terza via che di solito è anche quella più intelligente e per questo più tortuosa. Si chiama islam liberale ed è rappresentato da una serie di teologhi, imam, avvocati, psicologi e intellettuali musulmani tedeschi e non che vogliono riformare la loro religione per renderla aperta, tollerante, pacifica e soprattutto libera dai dittatori dello spirito che la usano a fini politici riducendola a una ideologia del terrore. Sono persone come Seyran Ateş, Mouhanad Khorchide, Ahmad Mansour e tante altre.

La maggior parte di loro è sotto protezione della polizia 24 ore su 24 per le minacce ricevute dagli islamisti, proprio come i nostri testimoni di giustizia. Sono loro che la politica deve appoggiare in Germania e in Europa se vuole iniziare un percorso di integrazione vero e soprattutto duraturo. Ma prima bisogna togliersi il prosciutto dagli occhi, liberarsi dalla censura, dai tabù e dall’antirazzismo usato a sproposito dai pensatori liberal, mettere al bando associazioni e organizzazioni musulmane che non si riconoscono in modo inequivocabile e trasparente nelle nostre regole democratiche e insomma, ammettere di avere sbagliato tutto, ma proprio tutto e voltare pagina.

Altrimenti dovremmo assistere a degenerazioni come quelle accadute il 30 ottobre scorso, quando un gruppo di giovani musulmani in abbigliamento paramilitare chiamato “Muslim Interaktiv” ha sfilato sotto la porta di Brandeburgo a Berlino. In mano reggevano cartelli contro l’integrazione forzata, contro l’assimilazione culturale ai valori tedeschi, contro Macron e a favore di una vita consapevole all’insegna dell’islamismo.

Il pensiero non può che andare a cento anni fa quando sotto la stessa porta sfilavano altri nazisti che poi fecero quello che tutti sappiamo. Da notare che ad oggi, e sono passate quasi due settimane, nessun politico tedesco ha detto nulla.