“L’uscita dal lockdown? Per ora procede normalmente, senza picchi. Anzi, sono diminuiti i pazienti in terapia intensiva e nei reparti. Certo, non avrei mai pensato di affrontare una pandemia, ma non ho paura di essere contagiata, perché ogni giorno in pronto soccorso ho a che fare con malattie anche peggiori, come l’Hiv”. Hanne (chiede di non citare il cognome) da cinque anni lavora come infermiera in sala operatoria in una delle 20 strutture sanitarie, tra ospedali e cliniche private, di Amburgo. Con l’epidemia da coronavirus è stata spostata in prima linea, al pronto soccorso. La città-Stato di Amburgo, oltre 1,6 milioni di abitanti, tra cui molti stranieri, ha finora contato circa 4mila casi positivi, “per lo più anziani tedeschi provenienti da case di riposo, anche delle zone confinanti come Lubecca o Hannover, più colpite dal Covid-19, o giovani di altre nazionalità impegnati in settori a elevata possibilità di contatti, come il porto o la ristorazione”.



Ad Amburgo, dal 28 aprile, è finito il lockdown. Com’è la situazione? C’è un aumento dei contagi?

All’inizio abbiamo registrato una ventina di positivi al giorno, poi abbiamo avuto un doppio rimbalzo, con 33 e 45 casi, adesso in pronto soccorso ne arrivano meno di 10.

Che cosa è stato riaperto?

Tutti i negozi sotto gli 800 metri quadrati, le scuole, dagli asili nido ai licei, ma non le università.



E i mezzi pubblici?

Sono aumentate le corse degli autobus, per evitare nelle attese gli assembramenti. In metropolitana, invece, specie nelle ore di punta, è difficile rispettare la distanza di un metro e mezzo, ma non ci sono controlli, anche se c’è una telecamera ogni quattro sedili. Tutti però indossano la mascherina, che è obbligatoria: non necessariamente quella chirurgica, perché basta qualsiasi cosa purché copra naso e bocca.

È facile trovare le mascherine?

Non sempre. Si possono acquistare in farmacia, ma non nei supermercati. E le confezioni da 7 mascherine costano 10 euro, senza contributi dello Stato per le famiglie.



Insomma, l’uscita dal lockdown sembra funzionare?

La situazione è normale, anzi sono diminuiti i pazienti in terapia intensiva e nei reparti.

Come vengono dimessi i pazienti?

Devono risultare negativi su tre esami: tampone, test sierologico e test delle urine per la legionella. Non so perché venga effettuato anche questo esame: i medici dicono che così è prescritto, e così si deve fare.

Insomma, il lockdown sembra funzionare?

Sì, anche se nelle strutture sanitarie si naviga un po’ a vista. In alcuni ospedali hanno dovuto testare tutto il personale delle terapie intensive perché qualche positivo non è stato intercettato e ha contagiato tutti i pazienti, anche i negativi. Ancora oggi al personale sanitario non si effettuano tamponi.

Le terapie intensive in Germania hanno comunque retto molto bene all’urto dell’epidemia. Perché?

Premesso che il numero di posti è quasi il triplo rispetto all’Italia, quando qui hanno visto la drammatica ecatombe di Bergamo e Brescia, hanno subito riaperto vecchi reparti, hanno recuperato molti ventilatori inutilizzati nelle sale operatorie e hanno provveduto ad adibire diversi reparti in terapie intensive. In 48 ore sono stati quasi raddoppiati i posti letto, con grande rapidità ed efficienza. E in più hanno subito redistribuito il personale, riqualificandolo, dai vari reparti sotto-utilizzati alle terapie intensive.

Dall’inizio dell’emergenza coronavirus, non avete mai dovuto affrontare una fase drammatica?

Qui siamo lontani anni luce da quanto è successo, per esempio, in Lombardia. A parte i Länder del Sud che hanno vissuto una fase semi-acuta, ad Amburgo il periodo più difficile è coinciso con la Settimana santa, quando abbiamo registrato un aumento di persone positive: nel nostro pronto soccorso, in media per ogni turno di 8 ore, si presentavano 25-30 persone presunte positive o positive. Va però tenuto conto che i tedeschi, ai quali era stato suggerito di non intasare gli ospedali, sono tendenzialmente rimasti a casa.

Arrivavano portati dalle ambulanze?

No, in gran parte con i propri mezzi e se non si trovavano in condizioni di emergenza venivano rispediti a casa, senza eseguire alcun test di controllo, e invitati a contattare il numero verde.

Che cosa intende dire con situazione di emergenza?

Solo in caso di dispnea, cioè di problemi respiratori acuti, si può essere ricoverati.

Altrimenti?

Il Robert Koch-Institut ha emanato delle linee guida per indirizzare i pazienti. Chi non ha avuto contatti diretti con persone positive o non è stato in una delle zone rosse, anche se si presenta con febbre o tosse, non ha i requisiti per essere sottoposto al test del tampone.

In tal caso come reagivano i pazienti?

I pochi tedeschi che arrivavano al pronto soccorso si facevano dare il numero verde e se ne uscivano tranquilli. Gli stranieri erano meno accondiscendenti, si mettevano a discutere e ne nascevano anche alterchi. In quel caso, visto che in Germania le gerarchie sono molto chiare, mi facevo da parte, interveniva la capo-sala, o la sua vice, per convincerli, mostrando loro i documenti ufficiali con le procedure previste.

E una volta a casa che cosa succedeva ai pazienti? Era previsto un trattamento farmacologico?

Il Robert Koch-Institut in teoria consigliava di visitare il paziente eseguendo il tampone. E finché i sintomi non passavano, bisognava stare chiusi in casa, in quarantena, assumendo tachipirina o sciroppi per la tosse.

Questo in teoria. In pratica?

Spesso non veniva nessuno a fare i controlli, se non dopo che lo stato febbrile persisteva almeno per una settimana.

Negli ospedali di Amburgo erano comunque previsti percorsi differenti per sospetti Covid e pazienti non-Covid?

Negli ospedali più grandi sì, in quelli di medie dimensioni sono stati ricavati reparti solo Covid: uno per ospitare i positivi e uno, o più di uno, per i sospetti positivi.

Lei ha mai avuto a che fare direttamente con pazienti Covid?

Sì.

Come si comportavano? Che cosa leggeva nei loro occhi?

So, perché me lo raccontano alcune colleghe italiane che lavorano qui ad Amburgo, che nel vostro paese entrare in ospedale senza poter contare sulla vicinanza dei parenti è la fine del mondo. In Germania è normale che nessuno li venga a trovare, dal ragazzino operato di appendicite al novantenne con patologie croniche.

Anche questo spiega perché in Germania si sono verificati molti meno decessi che in Italia?

È diversa la modalità di conteggio: se un paziente oncologico muore dopo essere stato colpito da Covid, muore comunque per tumore.

Come si spiega invece che l’età media dei deceduti sia più bassa che da noi?

Gli anziani vivono più in casa o nelle case di riposo, anche se sono ancora totalmente autonomi. Ad Amburgo ce ne sono molte e le liste d’attesa sono lunghissime. In più, gli anziani non hanno molti contatti con i giovani.

La Germania ha avuto il paziente zero d’Europa, eppure il numero dei contagiati non ha mai raggiunto livelli allarmanti, come in Lombardia. Perché, secondo lei?

Qui rispettare il distanziamento fisico è più naturale. I tedeschi, al pari degli scandinavi, non hanno una vita sociale intensa come gli italiani o gli spagnoli. Finito di lavorare, non si incontrano con nessuno, altro che aperitivi! I gruppi di amici sono più ristretti, massimo 3-4 persone, e ci si vede soprattutto nei week-end. Non hanno l’abitudine di parlare per strada con gli estranei, né di formare capannelli di gente. Ma anche in Germania i casi positivi, magari asintomatici o paucisintomatici, sono molti di più di quelli conteggiati ufficialmente.

Perché?

Le cito un esempio. Prima di Pasqua abbiamo ricoverato una signora 48enne positiva e paucisintomatica. È stata ovviamente rimandata a casa. Dopo un paio di settimane, una domenica è andata con il marito al parco, quel giorno molto affollato perché il clima era dolce. Due giorni dopo è stata ricoverata d’urgenza in terapia intensiva con dispnea. Nessuno l’aveva testata come positiva. Quante persone avrà contagiato passeggiando per il parco?

Cosa pensano oggi i tedeschi del Covid-19?

Per loro è passato tutto. Gli stranieri invece sono molto più preoccupati, soprattutto quelli che arrivano dai paesi più colpiti: russi, ucraini, italiani, turchi, spagnoli.

(Marco Tedesco)

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