STOCCARDALa crisi di governo sta lasciando il posto alla campagna elettorale, non senza uno strascico polemico. Di chi è la colpa se il semaforo si è spento? La versione più consensuale è che la colpa sia da attribuire dell’ormai ex ministro delle Finanze Christian Lindner, che a fine ottobre ha presentato un documento economico con proposte considerate provocatorie da Spd e Verdi. Tra queste, il rinvio degli obiettivi climatici della Germania e il taglio del Bürgergeld (una specie di Reddito di cittadinanza), in rotta di collisione con il patto per la crescita concordato a luglio. Secondo diverse fonti, ci sarebbe stato un piano dei Liberali per porre fine alla legislatura.



È peraltro indubbio che fu il Cancelliere Olaf Scholz ad avanzare una richiesta irricevibile per Lindner, vale a dire quella di sospendere il famoso “Schuldenbremse” (freno all’indebitamento). Se è vero che la posizione di Lindner corrisponde alla classica postura teutonica avversa al debito, per gli altri partiti la situazione è leggermente più complessa. In Germania l’avversione per il debito è infatti radicata in modo trasversale in tutto l’arco parlamentare, cosi come nella società civile.



Nella formulazione attuale del freno, ci sono peraltro delle eccezioni, rappresentate da guerre e altri eventi catastrofici, che consentono una sospensione temporanea dello stesso. È questo il grimaldello che Scholz intendeva utilizzare per scardinare il freno, adducendo come motivazione le varie crisi geopolitiche ed economiche. Un tentativo forse inutile, dal momento che la Corte costituzionale di Karlsruhe aveva già cassato una iniziativa analoga a novembre 2023, ma che dimostra che l’eliminazione del freno non era (e non è) nelle intenzioni del Cancelliere.

Anche i Verdi non vogliono abolire del tutto il freno in Costituzione. Una mozione in tal senso è stata recentemente bocciata dopo un controverso dibattito alla conferenza federale del partito a Wiesbaden. Il neoeletto Segretario Felix Banaszak si è opposto alla mozione. “Siamo vicini a vincere questa battaglia per il futuro della nostra società”, ha detto Banaszak, riferendosi alla richiesta di riformare il freno. “Non giochiamola nel modo sbagliato”. I Verdi vorrebbero scorporare gli investimenti dal calcolo del deficit, un’idea in voga anche a Sud delle Alpi.



Passiamo all’opposizione. A fine gennaio, Friedrich Merz declamò solennemente al Bundestag: “Escludo ancora una volta che il mio partito approvi un allentamento del freno all’indebitamento. Non contateci”. Dopo quasi dieci mesi, il leader della Cdu è tornato sull’argomento al vertice economico della Süddeutsche Zeitung presso l’Hotel Adlon, con toni un po’ meno perentori. “Certo che [il freno] può essere riformato. La domanda è: con quale scopo? Qual è il risultato di una simile riforma? Se il risultato è che spendiamo più soldi per consumi e politiche sociali, allora la risposta è no”.

Da molte parti si guarda con stupore all’avversione tedesca per il debito. Uno dei motivi storici che vengono spesso citati per spiegare il fenomeno fa riferimento al debito scaturito dalla Prima guerra mondiale, con conseguente crisi valutaria, che nel 1923 fece schizzare il cambio marco/dollaro al valore di 4,1 trilioni. Dopo qualche anno la Germania riuscì a riprendersi, anche grazie a prestiti provenienti dagli Stati Uniti (altro debito). Ma quando questi fondi vennero risucchiati in patria dal crollo borsistico del ’29, la nuova crisi aprì le porte al nazismo. Nell’inconscio collettivo del popolo tedesco, il debito è quindi associato a eventi infausti, che sarebbero meglio dimenticare.

Sempre per quegli stessi eventi, i partiti appaiono riluttanti ad allearsi con Alternative für Deutschland (pure in forte ascesa nei sondaggi). Salvo sorprese, il primo partito nelle prossime elezioni, in programma a febbraio, dovrebbe essere la Cdu-Csu. Escludendo i Verdi (sul banco degli imputati per la crisi economica) e i Liberali (un prefisso telefonico con sempre più zeri), come possibile secondo partito non resta che la Spd.

Ecco quindi che Scholz si sta preparando alla campagna elettorale, paventando una riedizione della “grosse Koalition” di merkeliana memoria (e non solo), cercando di smarcarsi dalle posizioni della coalizione semaforica. Sull’Ucraina, con un’orecchio al vento che arriva dall’Oceano Atlantico, il Cancelliere dice cose più di sinistra: spendere miliardi per l’Ucraina, sottraendoli ad altre poste sociali del budget, non sembra una buona idea. Nein anche per quanto riguarda l’impiego dei missili a lungo raggio “Taurus”. Posizioni un tempo isolate, ma che oggi potrebbe trovare maggiore risonanza nel nuovo Zeitgeist occidentale.

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