STOCCARDA – Qualcuno si ricorda del sorpasso? Non sto parlando del film di Dino Risi, bensì del sorpasso del Pil italiano su quello britannico nel 1987, che fece dell’Italia la sesta potenza economica mondiale dopo Stati Uniti, Unione Sovietica, Giappone, Germania Ovest e Francia. Questo evento fu il risultato di una revisione dei metodi di rendicontazione statistica del Governo italiano e dell’escalation del debito pubblico promosso dai Governi “CAF” degli anni Ottanta. Altri due sorpassi si verificarono successivamente, nel 1991 e nel 2009.



Dopo l’ultimo sorpasso, le cose hanno preso una brutta piega per il Belpaese, che ha perso diverse posizioni in classifica, mentre l’economia britannica ha mostrato una maggiore resilienza. In tempi più recenti, a seguito della Brexit, sembra che dopo i fasti imperiali anche la perfida Albione sia ormai stabilmente avviata sul viale del tramonto. Titolava l’Economist, dopo la caduta del Governo Truss: “Welcome to Britaly: a country of political instability, low growth and subordination to the bond markets”. Mal comune mezzo gaudio?



Ma torniamo al sorpasso. Mentre l’attenzione mediatica è focalizzata sulle tragiche vicende palestinesi, un altro evento di portata storica è sfuggito alle cronache: la Germania ha superato il Giappone, installandosi sul podio come terza economia mondiale. In base alle stime del Fondo monetario riportate da Wikipedia, il Pil tedesco al cambio attuale vale infatti 4.429 miliardi di dollari, mentre il Pil giapponese si ferma a 4.230 miliardi.

Si tratta peraltro di un sorpasso in retromarcia: l’economia tedesca ha infatti subito una contrazione dello 0,1% nel terzo trimestre. La ragione principale del sorpasso va ricercata nel deprezzamento dello yen giapponese rispetto al dollaro statunitense e all’euro, a sua volta dovuto alle politiche monetarie divergenti delle rispettive banche centrali. Infatti, mentre Fed e Bce hanno aumentato i tassi di interesse per combattere l’inflazione, la Banca del Giappone li tiene bassi per combattere la deflazione. Il differenziale dei tassi crea una pressione osmotica che genera un flusso di capitali in uscita dall’area yen e spinge il cambio al ribasso. Attualmente l’euro galleggia intorno ai 160 yen, valore record dall’agosto 2008.



Uno yen debole potrebbe peraltro essere vantaggioso per l’export giapponese. Le esportazioni tedesche invece vanno maluccio: a settembre 2023 hanno subito una contrazione inattesa (-2,4% rispetto al mese precedente), attestandosi a un valore di 126 miliardi di euro. Questa diminuzione ha sorpreso gli economisti che avevano previsto un calo dell’1,1%. L’export verso gli Stati Uniti è diminuito del 4% a 12,8 miliardi di euro, mentre quello verso la Cina è calato del 7,3% a 7,7 miliardi di euro. Anche l’interscambio con i Paesi Ue si è ridotto.

Il gap tra le due sponde dell’Atlantico sembra invece allargarsi: al cambio attuale il Pil americano vale circa 27.000 miliardi di dollari, mentre quello dell’Unione europea si ferma circa a 16.000 miliardi: una differenza del 40%. Molti commentatori hanno messo in evidenza l’impoverimento dell’Europa rispetto agli Stati Uniti (15 anni fa le economie avevano, infatti, dimensioni simili). Anche in questo caso, in realtà, gran parte dell’effetto è dovuto al tasso di cambio, che è passato da un valore di 1,5 nel 2008 al valore attuale di 1,07. In termini reali, a parità cioè di potere d’acquisto, le dimensioni delle due economie restano paragonabili.

L’euro è d’altronde in fase di recupero sul biglietto verde. Dall’inizio di ottobre, quando la moneta comune europea valeva 1,04 dollari, l’euro ha imboccato una corrente ascensionale, arrivando al valore di 1,07, il più alto degli ultimi due mesi. Secondo gli esperti, la forza dell’euro è dovuta soprattutto alle prospettive del greenback, il cui potenziale di rialzo appare limitato. Il dollaro, infatti, non può più aspettarsi alcun sostegno dalla politica monetaria: dopo l’ultima seduta della Fed, il ciclo di rialzo dei tassi potrebbe essere vicino alla fine. Resta da capire come gestire il debito pubblico statunitense nei decenni a venire.

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