BERLINO – Io, d’altra parte, vorrei cogliere l’occasione per chiedere espressamente svantaggi sociali per tutti coloro che rinunciano volontariamente alla vaccinazione. Che l’intera Repubblica punti il dito contro di loro”. Nikolaus Blome, giornalista del settimanale tedesco Der Spiegel.

Durante un mio recente soggiorno a Genova, che non visitavo da prima dell’introduzione del green pass, sono rimasto sorpreso dalla quantità di gente che girava con la mascherina. Più o meno metà delle persone che circolavano per strada la indossavano, tanto che successivamente ho chiesto a un mio amico se fosse ancora obbligatoria. Quello mi ha guardato strano, come se avessi appena detto una sciocchezza. Quando gli ho raccontato che la maggioranza delle persone che avevo incontrato indossava una mascherina nonostante dovessero essere quasi tutte vaccinate, ha detto che mi sbagliavo, che probabilmente si trattava di gente appena uscita da un negozio o in prossimità di un assembramento. E quando ho replicato che non era così, che si trattava di persone che camminavano tranquillamente per una strada non particolarmente affollata, ha alzato le spalle come a dire che avevo visto male.



Ora qui non è importante il motivo per cui gente vaccinata decide di indossare la mascherina all’aperto in un luogo non affollato, quanto la negazione di tale comportamento da parte del mio amico. Perché quando si arriva a negare l’evidenza senza fare una piega, senza quel brevissimo attimo di esitazione che avviene quando nel cervello transita la domanda “non sarà troppo?”, significa che la paura ha vinto sulla ragione, che la schiavitù è libertà, la guerra è pace e il green pass non discrimina.



Se si nega una cosa così evidente figuriamoci cosa si fa quando si tratta di quantificare con precisione gli effetti avversi del vaccino o i suoi limiti a contrastare la pandemia. A cominciare dai risultati di questo studio sulla non correlazione tra popolazione vaccinata e aumenti infezioni da Covid, pubblicato il 30 settembre sull’European Journal of Epidemiology. L’articolo apre con questa premessa:

I vaccini sono attualmente la principale strategia per combattere Covid-19 in tutto il mondo. Ad esempio, la narrativa relativa all’ondata in corso di nuovi casi negli Stati Uniti (Usa) sostiene che essa è causata da aree con bassi tassi di vaccinazione. Una narrazione simile avviene anche in paesi come la Germania e il Regno Unito. Allo stesso tempo, Israele, che è stato preso ad esempio per i suoi alti tassi di vaccinazione, ha visto una sostanziale ripresa dei casi di Covid-19. In questo studio ci occupiamo della relazione tra la percentuale di popolazione completamente vaccinata e i nuovi casi di Covid-19 in 68 paesi (e in 2947 contee negli Stati Uniti).



Per lo studio sono stati utilizzati i dati Covid-19 forniti dal database Our World in Data, disponibili al 3 settembre 2021. I 68 paesi indagati, tra qui l’Italia, soddisfacevano i seguenti criteri: avevano a disposizione dati completi sulla seconda dose di vaccino e avevano a disposizione dati completi sui casi di Covid-19. L’ultimo aggiornamento dei dati è del 3 settembre 2021. Lo studio, il cui link è riportato sopra, stabilisce che:

A livello nazionale, lo studio trova che non sembra esserci alcuna relazione riconoscibile tra la percentuale di popolazione completamente vaccinata e i nuovi casi di Covid-19 negli ultimi 7 giorni (vale a dire il 3 settembre, Fig. 1 dello studio). In effetti, la linea di tendenza suggerisce un’associazione marginalmente positiva tale che i paesi con una percentuale più elevata di popolazione completamente vaccinata hanno casi Covid-19 più elevati per 1 milione di persone. In particolare, Israele con oltre il 60% della popolazione completamente vaccinata ha avuto i più alti casi di Covid-19 per 1 milione di persone negli ultimi 7 giorni. La mancanza di un’associazione significativa tra la percentuale di popolazione completamente vaccinata e i nuovi casi di Covid-19 è ulteriormente confermata, ad esempio, nei casi dell’Islanda e del Portogallo. Entrambi i paesi hanno oltre il 75% della popolazione completamente vaccinata e hanno più casi di Covid-19 per 1 milione di persone rispetto a paesi come il Vietnam e il Sudafrica che hanno circa il 10% della loro popolazione completamente vaccinata.

Per questo, conclude lo studio, la decisione di puntare alla vaccinazione come strategia primaria per mitigare Covid-19 e le sue conseguenze negative deve essere rivista, soprattutto considerando la variante Delta e la probabilità di varianti future. Potrebbe essere necessario mettere in atto altri interventi farmacologici e non farmacologici insieme all’aumento dei tassi di vaccinazione. Tale correzione di rotta, specialmente per quanto riguarda la narrativa politica, diventa fondamentale alla luce delle prove scientifiche emergenti sull’efficacia reale dei vaccini.

A tale proposito lo studio cita il rapporto pubblicato dal ministero della Salute in Israele, sull’efficacia di due dosi del vaccino BNT162b2 (Pfizer-BioNTech) contro la prevenzione dell’infezione da Covid-19. L’efficacia trovata è stata del 39%, di molto inferiore all’efficacia riscontrata in fase di studio del farmaco, che era del 96%.

Sta anche emergendo che l’immunità derivata dal vaccino Pfizer-BioNTech potrebbe non essere forte quanto l’immunità acquisita attraverso la guarigione dal Covid-19. In generale è stato riscontrato un sostanziale declino dell’immunità dai vaccini a mRna 6 mesi dopo l’immunizzazione.

Infine, anche se le vaccinazioni offrono protezione agli individui contro il ricovero grave e la morte, il Cdc (Center for Disease Control and Prevention) ha segnalato un aumento dallo 0,01 al 9% e dallo 0 al 15,1% (tra gennaio e maggio 2021) nei tassi di ospedalizzazioni e decessi tra i completamente vaccinati. Alla luce di questi risultati gli autori dell’articolo concludono che:

In sintesi, anche se è sensato fare sforzi per incoraggiare le persone a vaccinarsi, questi incoraggiamenti dovrebbero essere fatti con umiltà e rispetto. Stigmatizzare le persone può fare più male che bene. È importante sottolineare che altri sforzi di prevenzione non farmacologica (ad esempio, l’importanza dell’igiene sanitaria pubblica di base per quanto riguarda il mantenimento della distanza di sicurezza o il lavaggio delle mani, o la promozione di forme di test – tamponi – più frequenti ed economiche) devono essere rinnovati al fine di imparare a convivere con Covid-19 allo stesso modo in cui continuiamo a vivere 100 anni dopo con varie alterazioni stagionali del virus dell’influenza del 1918.

E ora si rilegga la frase del giornalista tedesco dello Spiegel, molto simile alle dichiarazioni di tanti giornalisti e virologhi televisivi nostrani, per capire in che baratro stiamo cadendo. Qualcuno se ne deve essere accorto, almeno in Germania, se un virologo assolutamente pro-vaccino come Christian Drosten si è sentito in dovere di dichiarare al giornale Die Zeit che è assolutamente sbagliato parlare di una pandemia dei non vaccinati, ma che si deve parlare di una pandemia che coinvolge tutti, vaccinati e non.

Se vogliamo uscirne senza distruggere la nostra società dobbiamo ripartire da qui e tornare a usare la ragione, lo spirito critico e il confronto dialettico delle idee, liberandoci dai fanatismi oscurantisti. Questo è uno sforzo che va assolutamente fatto a tutti i livelli e indipendentemente dalla propria posizione sul vaccino. In palio c’è la coesione sociale dei nostri paesi.

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