ATENE – «La Grecia si sta rapidamente trasformando in una Repubblica di tipo orientale (leggi Ungheria ed altre). Dove i temi della democrazia, dei diritti, del liberalismo sociale, del welfare state sono considerati dettagli superflui». Scriveva ieri il giornale di Syriza. Il commento faceva parte di un lungo rosario di “analisi” della sconfitta, espresse dai suoi dirigenti la sera della domenica. Forse devono ancora digerire la sconfitta, o forse i limiti di questo partito sono proprio questi: nessun rapporto concreto con la società, uso costante di ideologismi e ripetizione di false verità. A rimarcare questa “alienazione” è stato il comunicato di ieri, dopo che Tsipras ha riunito lo stato maggiore. Si legge che la sconfitta è dovuta al sistema proporzionale (votato da Syriza) e alla resistenza dei socialisti del Pasok a intavolare una discussione su un futuro governo di coalizione. Un lungo comunicato in cui non fa cenno ad una autocritica.
In quattro anni di opposizione, la strategia politica d Syriza si è aggrappata al radical-populismo che l’aveva caratterizzata fin dai tempi del suo piccolo orticello elettorale (4%). E la sua vittoria del 2015 è stata dovuta al fatto che le alternative politiche erano state bruciate dalla crisi economica. D’altra parte, il suo presidente Alexis Tsipras è in sella dal 2008. E oggi finalmente si sussurra che dopo la prossima sconfitta, cioè a breve, potrebbe anche dimettersi. Il punto è che non esiste un valido sostituto. Purtroppo, anche dopo quattro anni di governo non è riuscito a trasformare un partito “polifonico” per tradizione, in un organismo capace di governare il Paese, anche in un momento di stabilità.
Senza torsione politica, Syriza non sa fare politica. Senza minacce non sa farsi ascoltare dai greci. Ultima in termini di tempi: i sondaggisti hanno dichiarato ieri di sapere da tempo che la differenza tra Nea Democratia e Syriza era del 20%. Ma non hanno osato rendere pubblico questo dato per evitare la solita bordata di accuse da parte di Syriza, come era già avvenuto per le elezioni del 2019. Forse, come spiegano alcuni analisti, il tempo di Syriza volge al termine. E i socialisti del Pasok, che hanno aumentato del 40% la loro percentuale, sono pronti a occupare lo spazio lasciato libero da Syriza. E i risultati si sono visti: ha perso l’11% dei suoi votanti. In parte, i suoi voti moderati si sono riversati su Nea Democratia, la quale ha aumentato la sua percentuale, nonostante scandali (le intercettazioni), un immane disastro ferroviario (tipico degli anni ’50) e un aumento dei prezzi esorbitante. Ma allo stesso tempo ha dimostrato di saper gestire i suoi rapporti con la Turchia, ha rinnovato l’arsenale bellico, ha stabilito ottime alleanze.
Il Primo ministro Kyriakos Mitsotakis si gode il trionfo, ma ha già spiegato che intende ritornare alle elezioni (probabile la data del 25 giugno) per ottenere un mandato pieno e una maggioranza stabile. Con le coalizioni, la Grecia non è mai riuscita a esprimere esecutivi stabili. Mitsotakis intende vincere il secondo giro per continuare il suo lavoro di ammodernamento dello Stato. In parte ci è riuscito, ma per diminuire la disfunzionalità ellenica ci vorrà ancora molto lavoro.
D’altra parte, Mitsotakis si è ritrovato un Paese da ricostruire, quando il lavoro sporco lo avevano gestito i precedenti Governi. Con le mani libere e senza vincoli comunitari, la Grecia ha ripreso a correre, la disoccupazione è diminuita, il tasso di sviluppo è uno dei più alti di Europa, il turismo ha prodotto una alta percentuale del Pil. E la Borsa è tornata a macinare utili: ieri ha segnato un +6,5%.
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