Un secondo vocabolo va aggiunto al dizionario di Syriza e di Alexis Tsipras. Il primo era «kolotumba», cioè «capriola». Rimanda al «no» del referendum 2015, trasformato in un ossequioso «sì», pochi giorni dopo, a fronte di un deragliamento del Paese. Il secondo «alasonia», cioè «arroganza». Rimanda al modo con cui il governo di sinistra ha gestito il potere per quattro anni. 



Quasi tutti i commentatori si sono soffermati su questa questione. È questa una delle ragioni per cui Syriza ha perso questa tripla tornata elettorale. Ci sarebbe da aggiungere anche il vocabolo «polarizzazione», un metodo usato con disinvoltura da Tsipras e dal suo governo. Sembra che nell’analizzare la sconfitta, il primo ministro non abbia ancora capito quali siano state le sostanziali motivazioni. A botta calda e a commento della disfatta ha infatti affermato: «Sarà il popolo ellenico che prenderà la decisione definitiva. Se ritiene che noi possiamo continuare un progetto di sostegno dei tanti o se ritiene di scegliere il ritorno al buio dell’austerità, del Fmi, al passato che tutti quanti abbiamo vissuto». Slogan che ormai non fanno più presa.



In poche parole ecco gli slogan della campagna elettorale di Syriza per le elezioni politiche che si terranno il 7 luglio. Se fino al 2015 Tsipras era riuscito a creare aspettative, sempre poi disattese, il risultato di domenica scorsa ha rivelato che il popolo ellenico è molto più consapevole di quanto possano aver creduto i dirigenti syrizei. È conscio che l’austerità non finirà domani, è conscio che per quattro anni gli sono state propinate ricette indigeste e tasse, è conscio che Syriza ha applicato politiche sociali ed economiche di destra, pur usando un linguaggio di sinistra, creando un ossimoro di difficile comprensione. E tutto ciò, se prima ha creato confusione, con il passare del tempo ha generato un senso di ribellione che si è espresso nelle urne.



Non sono serviti né gli ultimi sgravi fiscali, né la cosiddetta «tredicesima» ai pensionati. Tsipras, in altre parole, per quattro anni ha parlato di sintomi della crisi piuttosto che arrivare alle cause del male e creare le condizioni per un rilancio dell’economia reale. Non sono bastati gli avanzi primari e i «bravo» ricevuti a Bruxelles. Sono però bastati l’aumento della tasse, la rinuncia alla lotta all’evasione fiscale, la mancata riforma della giustizia e la spinta per far ripartire l’economia reale. Una ripartenza che tutti aspettano, compresi i mercati: lunedì la borsa ha segnato un più 6%, ieri un più 1%, a dimostrazione di che cosa si aspettano i mercati. Un cambio di rotta e di paradigma.

Ha forse fatto anche scandalo la volgarità degli atteggiamenti di alcuni ministri, le vacanze dell’anno scorso del primo ministro su uno yacht messo a disposizione da un armatore ellenico (pochi giorni dopo il violento incendio a Mati, alle porte di Atene, che ha contato più di cento vittime). L’accordo con la Macedonia del Nord ha invece inciso pochissimo sul risultato.

È la sconfitta di Alexis Tsipras? Per avere una risposta si dovranno aspettare una quarantina di giorni. Riuscirà a vincere? Sicuramente no, potrà al massimo limitare i danni, impedendo a Nea Demokratia di arrivare alla maggioranza assoluta. In questo lasso di tempo, lui e i syrizei dovrebbero ritornare con i piedi per terra. Certamente la “corte” di Tsipras non è all’altezza del compito: lo si è visto dai primi commenti agli exit-poll espressi da alcuni ministri. Erano ancora convinti che i greci fossero degli ingenui. Lo sono stati, forse, quattro anni fa, ma allora a Syriza non c’era alternativa.

Dispiace che il peccato originale di questa strana creatura che è la sinistra radicale si sia illusa sulle sue capacità di governo perché il confronto politico è stato dettato quasi sempre dalla «arroganza» e raramente dai contenuti. E infanti i “tanti” – in contrapposizione alle élite di destra – cui si rivolgeva Tsipras gli hanno voltato, per il momento, le spalle. 

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