Quando due settimane fa abbiamo parlato con Miriam Ruscio, project manager di Avsi, organizzazione di aiuto umanitario internazionale, che si trovava in Polonia, il numero degli sfollati giunti dall’Ucraina era di un milione.
Oggi sono esattamente il doppio: “Il governo polacco ha preparato un piano di emergenza per gestire quattro milioni di persone in transito” ci ha detto, tanto è il numero che si prevede possa essere raggiunto. “Il flusso di sfollati è sempre altissimo e continuo, il governo polacco si è attivato d’intesa con i comuni per costruire centri di accoglienza, ma la preoccupazione che si arrivi a un punto in cui non si potrà più sostenerli è grande e molto sentita”.
Com’è la situazione al confine tra i due Paesi? Il flusso di sfollati è sempre alto?
Sì, i combattimenti non cessano e il flusso continua senza sosta.
Ormai in Polonia ne sono arrivati due milioni. Dove viene sistemato un numero così alto di persone senza casa?
Ci sono dei centri di accoglienza transitoria, dove vengono dislocate le persone in base alla destinazione che preferiscono. La maggior parte dalla Polonia si dirige verso le capitali europee, molti vanno in Germania, ma anche in Francia.
E chi non ha un posto dove recarsi?
I comuni si sono organizzati con il supporto del governo, sono state aperte case di accoglienza familiari. I centri di accoglienza transitoria e queste case famiglia sono due percorsi paralleli per chi non ha una destinazione precisa.
Dal punto di vista burocratico, come vengono identificate queste persone?
L’Unione Europea ha concesso, con un decreto urgente, lo status di rifugiati a tutti coloro che fuggono dall’Ucraina. Il governo polacco ha varato una legge che dà loro gli stessi diritti dei cittadini polacchi, gli stessi privilegi, come l’accesso ai servizi pubblici, la scuola, la salute. Sono equiparati totalmente ai polacchi.
Cibo e medicinali continuano ad arrivare dagli altri Paesi europei?
Sì, soprattutto le medicine, ma anche le attrezzature e i beni per equipaggiare questi centri. Tra le responsabilità di ogni comune c’è infatti quella di allestire centri transito di 2mila persone per provincia. E ciascuno di questi centri ha bisogno di allestimenti come letti, coperte, lampade.
Avrai visto migliaia di sfollati quando eri in Polonia. In che stato fisico e psicologico le hai trovate?
Arrivano in condizioni fisiche e mentali devastate. Molti raccontano di essere stati nei bunker sotto le bombe anche per quindici giorni. Poi c’è stato il viaggio, duro e faticoso, e adesso il fatto di essere in un paese straniero, che per quanto sia accogliente e attento a loro, non è certo la loro casa. Si sentono privati della loro vita. E il cambio repentino di condizione comporta in molti di loro traumi psicologici.
E i polacchi, davanti a questo impegno immane che affrontano, come reagiscono?
Per adesso resistono. C’è la paura di non essere una forza inesauribile, visto che in gran parte quelli che si attivano sono dei volontari. Anche a livello di capacità di accoglienza c’è preoccupazione. Già quando erano un milione di sfollati c’era questo timore, adesso gli sfollati sono due milioni, il doppio. So che il governo polacco ha fatto un piano di emergenza per quattro milioni di persone in transito. Rispondono come possono.
Tu hai una lunga esperienza di accoglienza e sostegno, avendo lavorato molti anni in Africa. Che cosa ti ha colpito particolarmente di questa esperienza?
Quelle che ho vissuto in Africa sono situazioni terribilmente disperate. Se quello che si vede laggiù è deprimente e quasi senza speranza, in questo caso ci sono famiglie poverissime che stanno ricevendo gli sfollati ucraini, e anche da questo si capisce che siamo davanti a un dramma europeo. A toccare di più della questione ucraina è il numero enorme di persone coinvolte, il fatto di essere gente in difficoltà molto più vicina a noi. È un popolo europeo esattamente come noi che si trova nel bisogno. Si vedono ragazze che andavano all’università, bambini come quelli delle nostre famiglie, madri e anziani abituati a uno stile di vita come il nostro e che adesso hanno perso tutto. Ti tocca personalmente, lo vivi come potesse accadere domani a te. È il paradosso del bisogno.
(Paolo Vites)
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