Prima e dopo Calin Georgescu. Il candidato “prodigio” fermato dai giudici lo scorso novembre annullando il primo turno delle presidenziali è un caso politico destinato a segnare la storia della Romania e dell’Unione Europea.
Non solo per i suoi sviluppi, ormai noti. Mercoledì scorso la Corte Costituzionale ha respinto il ricorso di Georgescu contro la decisione della Commissione elettorale, escludendolo in via definitiva dalle prossime presidenziali del 4 maggio. Proprio ieri, domenica, la stessa Corte ha convalidato la candidatura di George Simion (Aur), sul quale potrebbero ora convergere i voti di Georgescu.
Ma soprattutto perché la vicenda del candidato indipendente che il 24 novembre ottenne a sorpresa oltre 2 milioni ha svelato un momento di profonda crisi delle istituzioni romene.
Ne abbiamo parlato con Cosmin Cercel, romeno, professore di teoria del diritto e storia del diritto comparato all’Università di Gand (Belgio). “La Corte” spiega Cercel al Sussidiario “ha affermato un potere di revisione originale in queste circostanze straordinarie, il che è forse giuridicamente discutibile. Ma proprio questa posizione mi fa pensare che la Corte abbia agito con una reazione sorprendentemente forte, in quello che sembra essere un taglio con il discorso costituzionale post-1989 in Romania”.
Professor Cercel, cosa pensa dell’esclusione di Georgescu dalle elezioni presidenziali?
Ci sono almeno tre modi in cui potrei rispondere alla domanda: uno giuridico, uno politico-giuridico più contestuale e uno personale. Da un punto di vista puramente formale, l’Ufficio di presidenza si è semplicemente avvalso del suo potere giuridico per valutare la candidatura. Lo ha fatto esercitando il suo potere statutario. Tuttavia, le basi giuridiche e costituzionali su cui ha effettuato la valutazione non sono state quelle tradizionali, riguardanti le condizioni di forma e di sostanza della candidatura previste dalla legislazione elettorale in vigore, ma due sentenze alquanto controverse della Corte Costituzionale.
Le due sentenze del dicembre scorso?
Precisamente. Quella di annullamento delle elezioni – n. 32 del 6 dicembre 2024 – e quella che ha invalidato la candidatura di Diana Iovanovici Sosoaca, l’europarlamentare del partito SOS, n. 2 del 5 ottobre 2024.
Perché le definisce controverse?
I giuristi possono essere in disaccordo sul fatto che questa sia una solida base giuridica per fare una tale valutazione, ma per il consenso generale queste sentenze sono vincolanti anche per le autorità pubbliche come l’Ufficio di presidenza della Commissione elettorale, nella misura in cui ribadiscono il senso della Costituzione. Ed è solo la Corte Costituzionale che mantiene l’autorità finale su queste questioni. Tuttavia, pur utilizzando questa base per la valutazione della candidatura, la decisione dell’Ufficio di presidenza deve essere inserita nel suo contesto politico-giuridico.
Cosa ci dice tale aspetto di contesto?
Queste sentenze della Corte Costituzionale erano intimamente legate a gravi preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale, alla sovranità territoriale e all’ordine costituzionale esistente. Valutarle in base a meri punti di coerenza formale significherebbe non coglierne le implicazioni politiche.
Per quale motivo?
Perché queste elezioni si stanno svolgendo nelle condizioni di una guerra di aggressione combattuta ai confini del Paese, nel contesto dell’ascesa e della normalizzazione del discorso politico di estrema destra – per molti aspetti in contrasto con i valori dichiaratamente protetti dalla Costituzione – e, almeno dal gennaio 2025, in un contesto di grandi spostamenti geopolitici.
Quindi?
In questo senso, le decisioni delle autorità pubbliche e degli organi giurisdizionali, come la Corte Costituzionale, sono messe a dura prova. In poche parole, non si tratta più di ordinaria amministrazione. Questo, ovviamente, li espone a critiche, poiché il processo deliberativo non è mai del tutto perfetto; ed è per questo, aggiungo, che i giuristi hanno sempre interpretazioni diverse.
Ma invalidare elezioni avvenute non è una cosa gravissima?
Il parere espresso dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa sugli standard legali in base ai quali una corte costituzionale può invalidare le elezioni, consente di ritenere che la sentenza della Corte Costituzionale di dicembre sia stata carente solo in parte per quanto riguarda le garanzie procedurali.
E la sua valutazione personale?
È molto pessimistica. Per due ragioni. In primo luogo, risposte istituzionali di questo tipo, per quanto salutari e oneste possano essere nella loro promessa di protezione del processo democratico e dell’ordine costituzionale, sono difficili da giustificare politicamente in una società divisa.
Lo si è visto nelle violente manifestazioni di piazza, infatti. E l’altro motivo?
In secondo luogo, è solo fino alla decisione dell’Ufficio che le questioni di sostanza, vale a dire gli atti palesemente antidemocratici del candidato e i valori costituzionali, sono state prese in considerazione. E in modo piuttosto indiretto, essendo collegate alle condizioni di idoneità a candidarsi come presidente e giurare fedeltà al Paese e alla sua democrazia.
In altre parole, che cosa sarebbe mancato?
È stato messo da parte un vero e proprio dibattito politico-giuridico sui valori dell’ordine costituzionale. È difficile da affrontare, è vero, ma in tal modo il messaggio inviato è anche di incertezza su ciò che le autorità realmente rappresentano. Tuttavia, pur in mezzo a mille perplessità, l’esclusione è una decisione fondata sul diritto e all’interno dei confini costituzionali, come ha stabilito infine l’11 marzo la Corte Costituzionale.
A causa della sua decisione, la Corte è stata investita da critiche durissime. E se le “ingerenze straniere” non avessero riguardato Georgescu, ma la Corte?
Si è parlato molto dei poteri della Corte Costituzionale, arrivando ad attaccare apertamente la sua legittimità. Lo hanno fatto vari personaggi pubblici, dalla destra rumena a quella globale, paragonando le decisioni della Corte a ogni sorta di totalitarismo e di controllo delle libertà e via dicendo. Ma penso che tutte queste critiche, anche quando fatte in buona fede, e la maggior parte non lo è, non abbiano alcun fondamento serio.
Eppure, lei stesso ha detto che siamo davanti ad una decisione ricca di implicazioni politiche. In Italia, qualcuno rimprovera ai giudici – almeno ad una parte di essi – di essere un corpo separato e di fare politica.
Il controllo costituzionale, in particolare di questo tipo, è in qualche modo in contrasto con una specifica concezione della democrazia liberale. Capisco la sua obiezione: la minaccia di un “governo dei giudici” è sempre presente. Ma se guardiamo alla storia di questa idea, in particolare all’Austria del primo dopoguerra e alla Germania e all’Italia del secondo dopoguerra, c’erano ragioni per ritenere che le questioni costituzionali dovessero essere risolte per mezzo del diritto piuttosto che della politica, dato che quest’ultima era incline a degenerare nella violenza.
C’è un problema che lei ravvisa nell’esclusione di Georgescu?
L’unico problema che potrei vedere è che la decisione di annullare le elezioni di dicembre è stata forse l’unica risposta istituzionale seria che lo Stato rumeno è stato in grado di dare a una questione altrimenti importante: l’ascesa di un movimento ultranazionalista e dichiaratamente anti-costituzionale.
Perché l’unica? Prima ci parli della decisione, poi arriveremo a Georgescu.
Per molti commentatori giuridici si è trattato di una sentenza attraverso la quale la Corte ha affermato di avere la giurisdizione primaria per annullare le elezioni in queste circostanze, laddove la Costituzione taceva, il che ovviamente ne indeboliva l’autorità.
Continui.
Affermando questo potere ed esercitandolo, la Corte ha in un certo senso esaurito il suo arsenale: è improbabile che possa usare di nuovo questo potere, se non in caso di assoluta necessità, senza mettere a repentaglio la sua autorità. Ora, se l’unica istituzione che mira a proteggere la Costituzione è rimasta la Corte Costituzionale, allora non vedo davvero come la Costituzione possa reggere a lungo. Ma in questa situazione, credo che l’unico modo in cui la Corte poteva rispondere in modo coerente fosse quello di confermare la decisione dell’Ufficio di presidenza. Proprio come è avvenuto.
Quali sono le accuse che pendono oggi su Georgescu secondo la giustizia rumena?
Georgescu è sotto accusa per sei capi d’imputazione che potrebbero essere tradotti in qualche modo come segue: incitamento ad azioni contro l’ordine costituzionale; comunicazione di false informazioni; false dichiarazioni continuate, riguardo alle fonti di finanziamento della campagna elettorale e alle dichiarazioni patrimoniali; avvio o costituzione di un’organizzazione a carattere fascista, razzista o xenofobo, adesione o sostegno a tale gruppo in qualsiasi forma; promozione pubblica del culto di persone colpevoli di genocidio contro l’umanità e di crimini di guerra, così come l’atto di promuovere pubblicamente idee, concetti o dottrine fasciste, legionarie, razziste o xenofobe; avvio o costituzione di un’organizzazione a carattere antisemita, adesione o sostegno a tale organizzazione in qualsiasi forma. Naturalmente spetta ai pubblici ministeri dimostrare la commissione dei presunti reati e al tribunale penale decidere in base a tali prove. Fino ad allora è ritenuto innocente.
Ci sono tante destre in Europa. A quali elementi storici o politici è riconducibile, approssimativamente, il discorso di Georgescu?
Come storico del diritto che ha lavorato per non meno di un decennio sugli intrecci giuridici del fascismo in Romania e in Europa, posso tranquillamente affermare che la maggior parte del discorso proposto da lui e dai suoi seguaci ricorda, anche nei dettagli, quello dei movimenti e dei regimi storici di estrema destra del periodo tra le due guerre e della seconda guerra mondiale in Romania. Tale discorso è in contrasto con i principi della Costituzione vigente.
Ma al momento cosa c’è di appurato per quanto riguarda le accuse citate?
La stampa ha dato conto di un tentativo di sedizione avvenuto sulla scia della decisione della Corte Costituzionale di dicembre e ne è seguita un’azione penale. È in corso un altro procedimento giudiziario avviato dalla Direzione per le indagini sulla criminalità organizzata e il terrorismo contro un’organizzazione di estrema destra presumibilmente collegata che riunisce membri della riserva militare.
La sua valutazione?
È probabile che le accuse di sedizione siano reali, visto che nel dicembre 2024 un gruppo di attivisti che facevano parte di una compagnia mercenaria attiva in Congo si stavano dirigendo a Bucarest con il presunto scopo di fomentare il caos. Sono fatti che devono essere provati oltre la soglia del ragionevole dubbio in tribunale, ma credo che la situazione sia quanto meno seriamente preoccupante.
Quello che lei riporta e i fatti che si sono susseguiti fino ad oggi fanno sorgere due considerazioni. Cominciamo dalla prima: è in corso un’operazione per impedire a Georgescu di candidarsi?
Credo che sarebbe inesatto dire che c’è un’operazione orchestrata dalle autorità contro di lui. Siamo a mio avviso in presenza di una dinamica diversa. Sono le autorità pubbliche ad avere tergiversato fino ad ora: sia nell’affrontare l’ascesa del discorso politico di estrema destra nella società, sia nel trovare una risposta istituzionale adeguata a tale presenza nelle elezioni. Per questo la Corte Costituzionale è corsa ai ripari. Ma c’è un’altra cosa da dire, che forse sfugge ai media che osservano la Romania.
Quale sarebbe?
Vi sono legittimi sospetti che la candidatura di Georgescu sia stata sostenuta, per negligenza o intenzionalmente, da parti dell’apparato statale. Prima di essere un campione dell’estrema destra, Georgescu è stato una presenza costante nei corridoi del potere di vari organismi governativi sotto vari governi dal 1991. Questo porta ad escludere un esercizio arbitrario del potere statale nei suoi confronti.
Ci dà un altro elemento a sostegno di questa affermazione?
Georgescu è stato in relazione con persone che sono sotto accusa per gravi crimini. Una di queste, la sua guardia del corpo, era il capo di una compagnia mercenaria attiva in Congo fino alla fine di gennaio 2025 ed è stata sotto una forma di tacita protezione delle autorità rumene fino a quella data. Sarebbe utile notare che la stessa persona, ora in fuga, ha incitato membri dell’esercito rumeno a ribellarsi e a prendere le armi contro lo Stato. E qui, se permette, tornerei alla decisione della Corte Costituzionale.
Prego.
L’argomentazione principale della sentenza che annulla le elezioni di dicembre non è contro la persona del candidato, nemmeno contro le sue convinzioni politiche anticostituzionali, ma contro il fatto che parti importanti del processo elettorale sono state gestite senza osservare le condizioni previste dalla legge: i fondi della campagna elettorale non sono stati dichiarati.
E il secondo rilievo?
L’altro candidato di estrema destra, Simion, è ancora in lizza. Dunque, a mio avviso, non c’è una strategia contro questa candidatura in quanto tale, ma una semplice risposta legale e istituzionale che sarebbe stata data a chiunque nella situazione e posizione di Georgescu.
Vengo al secondo punto: le presunte “azioni ibride” messe in atto da Mosca per destabilizzare lo Stato, secondo le autorità di Bucarest. Cosa può dirci in proposito?
Questa è forse la domanda più scottante, alla quale non abbiamo dato una risposta ufficiale chiara. Alla base della decisione della Corte di dicembre di annullare le elezioni ci sono due rapporti declassificati del Consiglio di sicurezza nazionale. Forse sono sufficienti per sollevare dubbi sulla legalità del processo, ma comunque da quei rapporti all’iniziativa della procura c’è stato un lasso di tempo di almeno due mesi, che di fatto ha aperto la porta a troppe speculazioni. In realtà, l’intera questione sembra essere avvolta da una sorta di nebbia istituzionale che ha alimentato piuttosto che mitigato ogni tipo di scenario.
Cosa significa “nebbia istituzionale”?
Tutti sappiamo che la disinformazione russa è presente sui media rumeni e sul web e che, almeno simbolicamente, la Russia è stata sostenitrice di movimenti di estrema destra in Europa e altrove, sostenendo idee care agli ultranazionalisti rumeni di ogni genere. Ma c’è sempre un livello di squilibrio tra questi elementi e ciò che potrebbe essere considerato un fatto in tribunale. Tuttavia, ci sono state indagini giornalistiche sulla questione e ciò che suggeriscono è che le cose sono ancora più torbide di quanto non lo sia una semplice “connessione con Mosca”.
Di cosa si tratterebbe?
Sembra che dietro Georgescu si nascondano parti dell’establishment politico rumeno, imprese rumene all’estero e un intero mondo sotterraneo di uomini d’affari di varie nazionalità. Questo, ovviamente, non esclude la possibilità di un’interferenza russa, ma mette le cose in prospettiva.
Che cosa intende esattamente?
Vorrebbe dire che la candidatura non era quella di un “corridore solitario” per gli interessi di Mosca. Destabilizzare lo Stato non è solo l’agenda della Russia, ma di varie forze che vanno da privati e aziende a Stati stranieri.
Georgescu è accusato di essere filorusso. Su che cosa si basa questa accusa?
Le dichiarazioni più preoccupanti riguardano le riorganizzazioni territoriali a scapito dell’Ucraina, in particolare la Bucovina e il Maramures settentrionale, e parlano da sole della sua “fedeltà”. Un importante messaggio della campagna consisteva in una posizione anti-ucraina e nella diffusione di ogni sorta di disinformazione sullo status dei rifugiati ucraini in Romania e in Europa, il tutto basato su un discorso razziale che ricorda sia il fascismo storico sia la propaganda russa. Pochi giorni fa, prima dello stop alla sua candidatura, il Cremlino aveva dichiarato che qualsiasi elezione senza la sua partecipazione sarebbe stata priva di legittimità, mentre da dicembre l’amministrazione russa ha costantemente assunto posizioni pubbliche sulle elezioni in Romania. Un successivo procedimento giudiziario avviato contro un gruppo di riservisti militari presumibilmente collegati a Georgescu ha portato alla dichiarazione di persona non grata di due addetti militari dell’ambasciata russa a Bucarest.
La crisi rumena, che non sembra ancora conclusa, appare dirompente. Qual è la posta in gioco?
Credo che con il senno di poi sia diventato visibile ciò che era in gioco fin dall’inizio, ovvero la natura del regime politico in cui ci troveremo nei prossimi anni, e forse anche considerazioni geopolitiche, dall’adesione alla NATO e all’UE all’integrità territoriale, all’unità nazionale e al futuro dei diritti fondamentali. Ci sono molti “strati” che potrebbero essere spacchettati, ma ne sottolineerei uno in particolare, l’unico risultato paradossalmente positivo di questa crisi.
Quale sarebbe?
Per la prima volta abbiamo avuto un dibattito pubblico costante sull’estrema destra e sulla memoria del fascismo. Un dibattito generale in cui c’è un consenso crescente – che va dalla destra conservatrice alla sinistra radicale – sul fatto che il fascismo è un “no go” per la società rumena. Ma forse è ancora una volta troppo tardi.
Per quale ragione?
Perché in definitiva Georgescu e coloro che lo sostengono sono il risultato delle tensioni insite nella transizione e nella svolta neoliberista del nostro Paese, in cui l’idea di uguaglianza sociale è stata positivamente evacuata in quanto “comunista”, o “totalitaria”, e il conflitto sociale ha dovuto trovare forma e parole in ciò che già c’era: ortodossismo, anticomunismo, xenofobia, antisemitismo, glorificazione di un passato mitico, eccetera.
Ma quali sono le vere cause sociali ed economiche dei problemi che affliggono il Paese?
Un’infrastruttura in decadenza, una crescita economica priva di redistribuzione, una sicurezza sociale limitata e una diminuzione della presenza dello Stato e della sfera pubblica. A ciò, tutti, dai socialdemocratici a Georgescu, intendono rispondere con l’austerità in stile DOGE.
Ci spieghi meglio questo punto.
Per molti elettori di Georgescu, per lo più persone provenienti da aree urbane industrializzate e della diaspora, il progetto economico del neoliberismo, dell’austerità e delle disuguaglianze dilaganti è il carburante per una presa di posizione anti-sistemica che in ultima analisi va contro i loro stessi interessi. Come se io e lei fossimo contro la libertà di movimento mentre viviamo e lavoriamo in un Paese straniero. Dietro Georgescu sembra esserci un’infrastruttura di uomini d’affari con un programma molto chiaro di “accumulazione primitiva”, per i quali avere una forza lavoro senza le tutele legali offerte dalla libertà di circolazione europea sarebbe in realtà un bene per gli affari: i lavoratori clandestini non chiedono tutele sociali o condizioni di lavoro. Per tali ambienti l’importanza della Romania sarebbe quella di fornire manodopera a basso costo e sempre più terroristica. Con il paradosso che questa operazione sarebbe legittimata, in nome della “sovranità”, da coloro che subirebbero per primi lo scotto di questa posizione.
(Federico Ferraù)
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