Dan Dungaciu, professore universitario e direttore dell’Istituto di Scienze politiche e Relazioni internazionali dell’Accademia Romena (Ispri), è stato ospite di Reporter Special, su Tvr Cluj. Molti i temi affrontati nell’intervista del giornalista Romeo Couti, dalle interferenze dell’Ungheria in Transilvania alla figura di Viktor Orbán, al ruolo che l’Ungheria gioca nell’Europa dell’Est.



La recente visita privata del presidente dell’Ungheria in Transilvania ha confermato ancora una volta che la strategia di Bucarest è di non reagire alle provocazioni di Orbán. È efficace? Forse l’opinione pubblica è leggermente danneggiata da questo atteggiamento non combattivo dei funzionari rumeni.

La risposta breve è che questa strategia non è affatto efficace, come abbiamo visto negli ultimi anni. È chiaro che la reazione non deve essere né isterica né aggressiva, ma basata sull’idea che dobbiamo evitare danni ancora maggiori, cioè un’escalation che non sappiamo dove possa portarci.



Ancora una volta l’Ungheria si sta avvicinando alla Transilvania. Qual è l’obiettivo?

Non che l’Ungheria possa mai prendere la Transilvania, ma la reazione di Bucarest deve essere pronta, perché se la Romania non reagisce in modo che l’Ungheria capisca, sarà ancora più doloroso, sia per l’Ungheria che per la Romania. Da questo punto di vista, una reazione dev’essere presa in considerazione. Quindi la reazione della Romania è necessaria, obbligata direi, perché non si verifichi un male maggiore.

Con la nuova presidenza dell’Ungheria di Katalin Novak si prevede un cambiamento radicale nelle strategie di comunicazione dell’Ungheria verso la Romania? O la politica di comunicazione di Orbán continuerà?



La presidente dell’Ungheria continuerà la politica di comunicazione di Orbán, ma ne aumenterà notevolmente la qualità. Perché a Budapest si capiva benissimo che Orbán era una figura politica internazionale logora, inefficace in termini di comunicazione pubblica, seppur formidabile e feroce nei giochi e nelle trattative dietro le quinte, soprattutto quando assumeva tacitamente ruoli che riceveva da altri. Per questo Budapest ha inventato un nuovo strumento di comunicazione: siamo davanti a un presidente che parla bene, è iperattivo, e si comporta diversamente da Orbán.

Un alto funzionario rumeno, Astalos Csaba, ha affermato che “lo Stato ungherese fa per la minoranza ungherese in Transilvania ciò che non fa la Romania”. Fino a che punto può arrivare una tale politica?

Sfortunatamente, rispetto a molti politici di Bucarest, i politici di Budapest o vari comunicatori più o meno vicini alla comunità ungherese sono ammirevoli per alcuni aspetti: hanno la capacità di lanciare messaggi davanti ai quali i politici di Bucarest è come se fossero assordati. Non sono in grado di reagire. Questo tipo di messaggio, apparentemente di buon senso, è la più grande trappola in cui è caduta la maggior parte della classe politica o dell’opinione pubblica rumena.

Perché?

Se andiamo su questa idea, che in questo momento ci sono disfunzioni e inefficienze di governo in un Paese – in Romania, riguardanti per esempio gli ungheresi della Transilvania, Harghita o Covasna – e quindi se partiamo dal presupposto che quello che uno Stato non può fare lo deve fare un altro, allora offriamo a Stati come la Federazione Russa o la Cina l’argomento migliore per giustificare la loro decisione, definendo l’intrusione in altri spazi.

Come va valutato l’aiuto concesso, o l’intervento dello Stato ungherese, in Transilvania?

Non è un intervento disinteressato, ma un gioco di potere che dobbiamo intendere come tale. È un gioco di potere, da un lato nei confronti della comunità ungherese in Romania, di cui si impossessa, controlla, elimina i leader politici o culturali che non sono con Orbán, trasformando così l’Udmr in una filiale di Fidesz in Romania– Dall’altro, è un gioco di potere contro la Romania, rispettivamente un tentativo di de-sovranizzare la Romania e la co-sovranità in Transilvania, di cui si è parlato innumerevoli volte.

Qual è la strategia di Orbán?

Orbán, offrendo risorse ai rappresentanti della comunità ungherese in Transilvania, li ha selezionati in modo spietato: coloro che non sono dalla sua parte sono stati eliminati dai sussidi, qualsiasi diversità di opinione degli intellettuali ungheresi in Transilvania è stata eliminata e tutti i media sono dalla parte di Orbán. Nel tempo questa strategia di Budapest ha avuto successo e da questo punto di vista ci troviamo ora di fronte a una situazione molto difficile da correggere.

Come si realizza il collegamento tra Budapest e la popolazione ungherese in Transilvania?

Oltre la comunicazione, attraverso gli investimenti, come asili e palestre, o mediante altre facilitazioni, come il passaporto ungherese che consente di andare negli Usa senza visto, eccetera. Quindi, al di là dei media, ci sono collegamenti fisici diretti che legano il cittadino rumeno in alcune parti della Transilvania direttamente con il regime di Budapest, e questa è una delle cose che, se non corrette in tempo, possono deflagrare con conseguenze più gravi.

Sebbene si sia scritto molto du questo, Orbán è riuscito a evitare il sospetto di essere un “prodotto” dei servizi segreti comunisti ungheresi. Cosa può dirci in merito?

È stato il Laboratory for the Analysis of Information Warfare and Strategic Communication (Larics), che ha scritto per la prima volta su questo e ha pubblicato testi sull’argomento. È un tema che meritava approfondimenti e più attenzione da parte di Budapest. Il personaggio Orbán e stato creato con assiduità e professionalità. Come ha fatto lo sconosciuto Viktor Orbán a parlare davanti a 250mila persone al più importante incontro anticomunista in Ungheria, con truppe russe e consiglieri sovietici sul campo? È un mistero solo se non si va un po’ oltre e si scopre che, nonostante tutto ciò che è stato detto, nonostante la mitologia costruita intorno a lui, è stato uno dei partecipanti al Bibó College del 1986, finanziato da Soros, in un’Ungheria piena di membri del Kgb sovietico almeno fino al 1991.

Quindi siamo in un’Ungheria dove i servizi segreti russi non notano, a quanto pare, che Soros finanzia il Bibó College e che da lì nasce il futuro vivaio di politici ed esponenti ungheresi pro-Europa e pro-Usa?

Il Kgb sapeva tutto molto bene, perché il Collegio Bibò era gestito da István Stumpf, genero di István Horváth, l’uomo più importante e potente del sistema ungherese, ministro dell’Interno, capo del servizio di sicurezza ungherese.

Orbán era un dissidente?

Viktor Orbán non era un dissidente, era cresciuto sotto l’ala di István Horváth, l’uomo più importante del ministero dell’Interno e della sicurezza ungherese, istituzioni che all’epoca avevano consiglieri del Kgb. Quindi tutta questa creazione, con la sua aura di dissenso, era avvenuta sotto gli auspici della sicurezza russa e ungherese di quel tempo. Dopo aver preso il potere, ed essere entrato in Parlamento, a Orbán è stato assegnato l’incarico di capo della commissione per gli Affari esteri, carica in cui non si fa praticamente nulla ma si incontrano tutti, si viaggia ovunque e si ha molta visibilità. A quel tempo, Orbán sembrava diverso dai tipici politici comunisti, e tutto ciò gli garantì una carriera fulminea.

Attualmente Peter Sziijarto, ministro degli Esteri ungherese e capo dei servizi segreti, è stato premiato a Mosca con il maggior riconoscimento della Federazione Russa che può essere assegnato a uno straniero. Che ne pensa?

Una domanda si pone: in quale veste il ministro degli Esteri ungherese riceve questa onorificenza? Come ministro degli Esteri o come capo dei servizi segreti? Quando incontra così tante volte l’onorevole Lavrov, non è chiaro in quale veste questo stia avvenendo. Dobbiamo sapere che l’Ungheria, in quanto paese Nato e Stato europeo, è in tutte le forme di cooperazione tra la Nato e i servizi segreti dell’Ue, quindi ha accesso a tutte queste informazioni. E tutte queste cose avrebbero dovuto essere dette, perché l’Ungheria non è solo un vulnus per la Romania, ma l’Ungheria può anche essere un vulnus per l’area euro-atlantica.

Perché l’Ungheria vuole essere un attore attivo nella Repubblica di Moldavia, a partire dalla questione della sua integrazione nell’Unione Europea?

L’interesse dell’Ungheria per la Repubblica Moldova ha due vettori. Da un lato, è un sostegno alla politica della Federazione Russa nella regione. Dall’altro, Budapest gioca non solo per la Russia, ma anche per se stessa, nel senso che l’Ungheria vuole bloccare una presenza più significativa della Romania nella Repubblica Moldova. Questi obiettivi erano e sono gli obiettivi dell’Ungheria, ma anche della Federazione Russa.

Questo cosa significa?

Non vuol dire che l’Ungheria sia subordinata agli interessi della Federazione Russa. Orbán fa queste cose perché crede che sia anche nell’interesse dell’Ungheria, ed è ovviamente un mezzo per contrastare la più consistente presenza regionale della Romania. L’Ungheria vuole essere un hub regionale e in qualche modo fermare la presenza euroatlantica nei Carpazi, limitando innanzitutto la presenza romena. Budapest si è coinvolta nella questione della Moldavia subito dopo la sua integrazione nell’Ue.

Quindi non è un progetto recente o congiunturale?

L’Ungheria ha assunto il ruolo di emissario dell’Ue a Chisinau prima che la Romania entrasse nell’Unione Europea. Il primo rappresentante europeo per la Moldavia è l’ungherese Kalman Mizsei, che è ancora a Chisinau come consigliere del ministro per l’Integrazione. Oggi la Romania non ha consiglieri nel governo di Chisinau: li hanno Germania e Ungheria, ma non la Romania. Però noi siamo campioni di retorica, e ne abbiamo pagato un caro prezzo.

(traduzione di Loredana Vrancianu)

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