Caro direttore,
è del 5 marzo un intervento sui social della portavoce del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, Maria Zakharova, che elenca con dovizia di particolari e di numeri tutti i Paesi che si sono impegnati ad armare la resistenza ucraina dall’invasione. Stranamente non viene menzionata l’Italia. Eppure, il discorso in parlamento del presidente del Consiglio Draghi – l’Italia “non si volta dall’altra parte”, invio di armi all’Ucraina approvato – è del 3 marzo. Può capitare un’omissione, certo. Ma si tratta di un’omissione volontaria o di una semplice svista? Oppure è un messaggio in bottiglia all’Italia?
Visto che vengono citati tutti i Paesi, anche quelli più piccoli, non è probabile che si voglia rompere il coeso fronte occidentale. Forse si vuole aprire uno spiraglio, per vederci meglio.
Il filo rosso che unisce i nostri due Paesi è stato grande ed è certo spiazzante vedere l’Italia diventata più “realista” del re. L’Italia ha una lunga storia di mediazione. Nonostante successive affermazioni bellicose e giustificazioni di azioni non condivisibili. Prima della disgraziata azione militare decisa dal partito democratico Usa in Libia con Cameron e Sarkozy, i generali italiani dissero che la Libia sarebbe stata divisa in Tripolitania e Cirenaica. Il parlamento, con un capo del governo ormai screditato, fu indotto dall’allora presidente della Repubblica ad appoggiare l’azione militare. Risultato: da un dittatore tanti dittatori. Eloquenti a tal proposito le critiche di Luttwak sull’imprevidente azione di chi poi appoggiò le primavere arabe, che favorirono dittatori nuovi. E l’uscita dell’Italia dalla Libia.
La storia insegna. Un noto libro del 2012 di Christopher Clark, I sonnambuli: come l’Europa arrivò alla grande guerra racconta lo scoppio della prima guerra mondiale come frutto di un passivo scivolamento inerziale. Un processo continuo e inarrestabile in cui nessuno provò ad attivare il freno a mano. Era più semplice cadere lentamente anziché aprire gli occhi davanti al rischio. E oggi? Il mondo è alla rovescia. Sentiamo diversi generali dell’esercito italiano fare non solo analisi militari, ma anche parlare di politica con raziocinio e prudenza. Sanno cosa significa il rischio di una guerra a tutto campo con l’esplosione delle passioni più violente ed estreme. E vediamo invece politici italiani dell’ultima ora improvvisarsi strateghi, storici ed economisti. Con un pensiero già sentito all’inizio del Covid: “andrà tutto bene!”. L’Italia è un paese della Nato. Ma l’atlantismo deve essere moderato o ortodosso?
Dunque, si tratta di non chiudere gli occhi come i sonnambuli di Clark e andare a vedere se si può uscire dalla spirale della mancanza di mediazione e di diplomazia. La politica è arte del possibile, capacità di dialogo, non chiusura e avvicinamento insipiente alla catastrofe.
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