L’attuale situazione della Siria sta ponendo molti interrogativi sul suo futuro. Innanzitutto, ci si domanda quale sarà il suo nuovo indirizzo politico, come influenzerà i rapporti internazionali.
C’è però un aspetto che viene considerato, come quasi sempre, secondario, e che invece in Siria, e non solo in Siria, merita di essere preso in seria considerazione: quello della libertà religiosa.
Vittime del pregiudizio tipico delle società occidentali figlie della rivoluzione francese, da noi ormai – non solo chi si rifà alla tradizione socialista, ma anche a quella liberale – si è portati a considerare la religione come un semplice “affare privato”. E si fa in modo che lo Stato garantisca la religione come libertà di culto o semplice libertà di opinione.
Ma la religione, le religioni sono di loro natura ben altro. Purtroppo, invece, oggi anche molti cristiani si sono lasciati convincere che fino a quando sarà permesso andare in chiesa, preferibilmente per devozioni private, e conservare la fede ridotta ad opinione nascosta nel profondo del cuore, tutto va bene.
Poi magari ci si accorge che gli Stati prendono sempre più decisioni (non solo sull’aborto) che sono in contrasto con il cristianesimo. A quel punto, si provino ad esprimere pubblicamente opinioni contrarie alla cultura dominante, per lo più oggi controllata dai “maestri” del pensiero di origine anglo–americana.
Nel frattempo, si scopre che ci sono non solo Stati a maggioranza musulmana, ma addirittura Stati che si definiscono islamici.
A questo punto occorre ricordare, prima di continuare, quello che dice la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, proclamata dall’assemblea generale dell’ONU nel 1948. All’articolo 18 leggiamo: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune (in comunity), e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo dell’insegnamento, delle pratiche del culto e nell’osservanza dei riti”.
In molti Paesi anche musulmani è assicurata la libertà di culto. Le chiese, tanto per intenderci, le sinagoghe e le moschee sono aperte, ma se uno volesse convertirsi ad un altro credo o anche proclamarsi ateo, almeno in alcuni Paesi, sarebbe pesantemente perseguitato, anche legalmente.
Ora sarebbe ingiusto giudicare il nuovo regime affermatosi in Siria attraverso quello che comunque è stato un colpo di Stato militare, ma le esperienze di altri Stati proclamatisi islamici non possono non preoccuparci. Poco importa che questi islamisti siano avversari degli islamisti dell’Iran e forse anche della Turchia di Erdogan.
Sarebbe invece ora che, partendo proprio da quello che sta accadendo in Siria, si allargasse lo sguardo anche ad altre situazioni dove la libertà religiosa, quindi la libertà di coscienza, non è garantita. Se è giusto che una persona possa cambiare il proprio orientamento politico, perché questo non è possibile nel campo religioso? Compreso il diritto di essere atei, che in alcuni Paesi è equiparato alla blasfemia ed è considerato un reato.
P.S.: quello che ho scritto sugli islamisti non ha nulla a che fare con tanti amici musulmani che mi hanno accolto in Asia Centrale.
P.S n.2: a tanti, soprattutto giovani, della sinistra “agitata” spesso disposti ad associarsi a certi islamici suggerirei di studiare la tragica storia di molti esponenti della sinistra in certi Stati islamisti.
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