Ma davvero si è pensato che quei 13mila dipendenti palestinesi inquadrati nella Unrwa potessero mantenersi distaccati dalla propria gente, dai parenti, equidistanti, neutrali, fedeli solo al mandato originario delle Nazioni Unite e al loro capo diretto, l’italo svizzero Philippe Lazzarini, leader dell’Agenzia per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente, un funzionario che ha costruito la sua carriera tra Libano, Somalia e il coordinamento degli affari umanitari? Davvero si poteva presumere che il radicalismo islamico non potesse operare il suo contagio?
Non era umanamente possibile. Ma è stato comodo per tutti pagare e non pensare, immaginando che i denari potessero risolvere tutto (l’anno scorso l’Unrwa ha incassato un miliardo di dollari in donazioni da vari Paesi), nella logica distorta occidentale che non è ancora arrivata a comprendere davvero le dinamiche di altre parti del mondo.
Lo stanno dimostrando ancora una volta gli Stati Uniti, che giorno dopo giorno stanno sprofondando sempre di più nelle sabbie mobili di un conflitto talmente asimmetrico da risultare tragicamente ridicolo: da una parte la superpotenza guardiana del mondo, dall’altra una miriade di affamati, armati e indottrinati, che combattono la guerra dei loro mandanti, magari senza causare perdite dirette considerevoli al nemico, ma ammorbando l’aria dell’intero quadrante mediorientale, dissuadendo i traffici commerciali al punto che (come riporta l’Ispi) “i costi di trasporto di un container tipico da Shanghai a Genova sono più che quadruplicati nel giro di un mese e mezzo: a metà gennaio il traffico commerciale dallo stretto di Bab el-Mandeb si era ridotto di più della metà (-55%), riflettendosi sul traffico dal canale di Suez -40%). Allo stato attuale, l’Egitto rischia di perdere 4 miliardi di dollari di entrate dal canale di Suez, che equivalgono all’1% del proprio Pil”.
Il pantano in cui si sono infilati gli Usa (con i loro più stretti alleati), prima nel supporto ad Israele, poi nella protezione (per altro più che logica) delle rotte nel Mar Rosso, è un rebus dal quale difficilmente si potrà uscire in tempi accettabili e con soluzioni efficaci. I miliziani islamisti (di fatto i contractors dell’Iran, pagati con i riyāl e con la fede) hanno ben poco da perdere, le loro manovre da remoto o mordi e fuggi potrebbero proseguire indeterminatamente (anche visti i costi relativamente bassi delle loro armi, ad esempio i droni, e i finanziamenti costanti da Teheran). Per contro l’Iran (con assoluta probabilità di una pressante opera di convinzione operata dalla Russia, che ama vedere attenzione, soldi e armamenti occidentali distolti dall’Ucraina) osserva soddisfatto il logoramento americano, in operazioni condotte fuori dai propri confini, e muove le sue truppe proxy (tutte sacrificabili) con spavalda sicurezza.
Allargando lo sguardo oltre la Striscia, dunque, dove il pantano è sempre più evidente (anche con la palesata connivenza dei funzionari Onu nei massacri compiuti da Hamas), è chiaro che la Star&Strip che sventola su campi e insediamenti Usa sparsi tra Giordania, Siria, Iraq, Pakistan, e sulle navi da guerra che navigano il Mar Rosso, è diventata l’obiettivo (forse lo è sempre stata) numero uno dei fondamentalisti. In questo scenario, il drone armato che ha attaccato l’altra notte il compound statunitense Tow22 nella base Al-Tanf, nell’incerto confine tra Siria, Giordania e Iraq, uccidendo tre soldati e ferendone altre decine, rientra nella strategia di una tensione che si vuole mantenere sempre altissima. Non si è trattato di un colpo sbagliato, non è stato un incidente: è salita l’asticella, è aumentata la sfida. Il blitz è stato rivendicato dalle milizie della Resistenza islamica in Iraq, ennesima sigla della galassia di guerriglieri filo-iraniani, mentre l’Iran ovviamente nega e prende le distanze. Adesso però sono cadute vite americane, e il presidente Biden, in piena campagna elettorale, non può rischiare un profilo basso: è abbastanza prevedibile una reazione, per altro annunciata da Biden con le solite formule di rito. L’incognita adesso è stabilirne l’entità, il calibro, e il bersaglio: ci si accontenterà di colpire il grilletto o si vorrà punire anche il dito che l’ha premuto?
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