Tutto intorno c’è solo devastazione. A quella della lunga guerra che ha segnato la Siria, si aggiunge in questo momento anche quella provocata dalla furia del sisma che ha sconvolto il Paese insieme a vaste aree della Turchia.
Eppure la parola che monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo, ripete più volte è un’altra: solidarietà. In un momento così difficile la gente del suo Paese sta cercando di fare quadrato e di andare oltre le migliaia di morti e le decine di costruzioni rase al suolo dal terremoto.
Come è la situazione adesso, monsignore: le persone hanno trovato una sistemazione?
È il secondo giorno, possiamo riflettere e vedere meglio. Ieri eravamo tutto sotto lo choc del terremoto. Ci si racconta questa inquietudine, ma sta emergendo uno spirito di solidarietà. Parlano di 3mila morti ad Aleppo e di 52 palazzi crollati. La gente vive nella paura che il terremoto ricominci di nuovo. Spero che sia finito, almeno così sembra. D’altra parte bisogna vivere e non si può vivere nella paura tutto il tempo. Molti si rifugiano nelle chiese, nei conventi, nelle aule sotto le chiese. Tante persone hanno passato la notte nelle chiese perché lì si sentono sicuri, tranquilli. C’è il cibo, ci sono le coperte.
Quindi le chiese hanno resistito abbastanza al terremoto?
Sì, non sono crollate. Per esempio la nostra cattedrale ha visto cadere solo qualche pietra, ma non è niente di grave. Le fondamenta non sono state toccate. Da questo punto di vista tutto va bene.
La gente trova rifugio anche da qualche altra parte?
Mi sembra che ci sia la Croissant Rouge (la Mezzaluna rossa, nda): hanno centri di accoglienza, sono organizzati. Io conosco bene i nostri quartieri e la situazione cristiana: sono responsabile del coordinamento degli aiuti per le diverse chiese. Aspettiamo per oggi l’arrivo di un camion da Beirut dell’Oeuvre d’Orient, dalla Francia, che ci porterà 5mila coperte per questi centri. Abbiamo organizzato il lavoro, vogliamo aiutare la gente se hanno problemi per i loro appartamenti distrutti, vogliamo aiutarli a trovare una sistemazione. Poco a poco ci si organizza.
Nessuno riesce a tornare in casa? Sono tutte danneggiate?
Non vogliono tornare soprattutto perché hanno paura. Pensano che il terremoto possa ricominciare e che quindi sia rischioso andare a dormire a casa propria. Ci vorrà almeno una settimana per ritrovare la calma. Intanto tutte le scuole e le università sono chiuse, anche i negozi sono chiusi.
Ma c’è da mangiare, ci sono medicine e cibo?
No. Anche prima del terremoto questa zona era in crisi, ora ancora di più. La povertà è generale in tutta la Siria e in particolare adesso ad Aleppo.
La situazione era grave prima e lo è ancora di più adesso proprio per le cose essenziali?
Per dodici anni c’è stata la guerra, ma si poteva vivere, adesso siamo arrivati a un punto estremo. Anche la natura è violenta, non solo l’uomo. E questo vale dappertutto, tutti siamo a rischio.
State facendo anche un lavoro per risollevare il morale delle persone?
Sì, ma adesso c’è questo senso di solidarietà, si lavora. C’è un buono spirito tra le persone di Aleppo: la guerra ci ha aiutato a fare programmi a organizzare gli aiuti.
Anche la Caritas si è organizzata?
Mi sembra. Io prima ero responsabile della Caritas, ora lavoro come responsabile del coordinamento di progetti per tutti i cristiani, con i vescovi, in un comitato. Questa mattina ho passato due ore di riunione per organizzare la distribuzione delle coperte nei centri e per vedere che cosa possiamo fare nei prossimi giorni. Qui adesso fa molto freddo, non c’è l’elettricità. È inverno e anche per questo la situazione non è facile. Ma, ripeto, ad Aleppo c’è un senso di solidarietà e voglia di organizzarsi.
(Paolo Rossetti)
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