Caro direttore,
come sai da anni dirigo il Banco delle Cose – Banco Building. Sono in costante e diretto contatto con alcune realtà estere tra cui le monache cistercensi che, partite da Valserena, stanno costruendo ex novo ad Azer in Siria un monastero. Noi, nel nostro piccolo, vi abbiamo contribuito. Ovviamente, appena saputo del terremoto, le abbiamo subito sentite. Azer è un piccolo villaggio che non si trova sulle cartine: è tra Homs e Aleppo. I confini dei loro terreni sono anche i confini della Siria con il Libano (precisamente con la famosa valle della Bekaa, abitata dai drusi; chi ha memoria storica ricordi). L’area è abitata da cristiani, islamici, drusi. Quello che segue è un breve resoconto della situazione in base a un colloquio con la superiora di Azer, suor Marta.



Le suore pensavano che la loro zona fosse l’epicentro della scossa, tanta è stata l’entità. Preciso che con le monache c’è un rapporto pluriennale. Sono avvezze a situazioni critiche e quando ci giunge un loro alert è perché c’è motivo, e lo prendiamo in grande considerazione. Per questo, appena ho visto il loro messaggio, ho capito che la situazione era drammatica. Quando è stato chiaro che l’epicentro era altrove si sono ulteriormente allarmate: “Se noi, che non eravamo l’epicentro l’abbiamo sentita così…”. Infatti la catastrofe è ai confini con la Turchia ma le città di Aleppo, Homs, Latakia, a loro vicine, sono squassate dal terremoto. Fare una classifica delle città più devastate è inutile. Le suore riferiscono che tutto questo avviene in una nazione prostrata. Già prima in Siria mancavano di tutto: energia (benzina, gasolio, energia elettrica, ecc.) alimenti e farmaci. Ora piove sul bagnato. Anzi: per la verità – climatologicamente – nevica. La situazione è più che drammatica.



Aleppo, Homs erano già semidistrutte dalla guerra. Ora gli edifici che già a fatica avevano retto i bombardamenti sono crollati. Innumerevoli le persone ancora vive sotto le macerie. Senza alcuna possibilità di poterne uscire. Non ci sono mezzi per alzare le macerie. Chi non è già morto, morirà.

Tutte le chiese sono aperte ed ospitano i sopravvissuti senza casa. Lo stesso monastero già da stasera ospita famiglie arrivate da Aleppo e Latakia. Riferiscono un fatto, ahimè ben noto: quando i drammi hanno origini antropiche c’è come una ragione (sai a chi dare la colpa, è in qualche modo razionalizzabile), ma quando c’è un’epidemia o un terremoto… l’uomo mostra tutta la sua naturale fragilità.



L’unica speranza è che questo dramma, tutto questo dolore possa mettere a tacere le divisioni e le armi. Si possa aprire gli occhi e affrontare la situazione senza dover pensare all’altro come un nemico.

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