Ora l’obiettivo è l’assemblea costituente, che dovrebbe prendere il via nei primi giorni di gennaio per definire la nuova Costituzione della Siria e dare inizio al nuovo corso dopo la caduta di Assad. Firas Lutfi, guardiano francescano della fraternità e parroco della comunità latina di Damasco, racconta di un Paese che sta cercando di riprendere una vita il più possibile normale: si ricominciano a vedere i poliziotti per le strade, per garantire sicurezza, e i negozi hanno riaperto grazie alle merci arrivate dalla Turchia e dal Libano. Ma la gente è ancora povera e c’è tutto da ricostruire, non solo le istituzioni.
Come si stanno muovendo i nuovi governanti? I cristiani vengono considerati in vista della costruzione della nuova Siria?
Sono previsti incontri con loro, li teniamo anche nella nostra parrocchia, nel nostro convento. E poi hanno convocato un dialogo nazionale, speriamo che sia fruttuoso. Hanno detto che verrà elaborata la nuova Costituzione: auspichiamo che i cristiani prendano parte a questo dibattito e lavorino attivamente per il futuro, ponendo come principi base la cittadinanza e l’uguaglianza di fronte alla legge.
Su questo tema anche i cristiani hanno istituito dei gruppi di lavoro?
Dovrebbero lavorarci tutti quanti, compresi i cristiani. Non siamo soli nel Paese, che è fatto di tante minoranze, ha tanti colori. Questa è la difficoltà della Siria, la sfida da raccogliere: bisogna cercare di accontentare tutti. Nella comunità cristiana ci sono diversi gruppi che se ne stanno occupando, a Damasco come ad Aleppo: tutti vogliono che siano riconosciuti i princìpi che stanno alla base delle Nazioni Unite, la Carta dei diritti dell’uomo, il rispetto della cittadinanza, della piena cittadinanza dei siriani e delle siriane, che davanti alla legge devono essere tutti uguali. I cristiani, come gli altri, non devono essere semplicemente tollerati o considerati come ospiti.
Quindi niente repubblica islamica o confessionale?
Noi ce lo auguriamo, anche se al momento non sappiamo cosa succederà. La maggioranza qui è islamica e a volte anche un po’ estremista. Se si facesse un sondaggio vincerebbero loro, il problema sta qui.
Gli incontri nelle parrocchie con i rappresentanti del nuovo corso politico servono per discutere della Costituzione?
Servono a preparare bene il dialogo a livello nazionale e quindi la Costituzione, e per proporre qualcuno esperto in materia che possa lavorare su questi punti.
Quando inizierà questo dialogo nazionale?
Non lo sappiamo ancora, ma potrebbe essere intorno al 4-5 gennaio. Ci saranno rappresentanze di tutte le realtà etniche, confessionali, religiose, i leader riconosciuti, gli intellettuali, personalità del mondo della cultura.
Cosa si può dire, a più di venti giorni dalla presa del potere, della condotta di Hayat Tahrir al Sham nei confronti dei cristiani?
Sono molto rispettosi, stanno cercando di garantire un po’ di sicurezza. Assad, quando è partito, ha lasciato un Paese vuoto, anche dal punto di vista istituzionale: non ci sono forze dell’ordine, non c’è l’esercito. Il nuovo Stato è come un bambino appena nato, deve crescere e maturare pian piano. In una situazione come questa, qua e là possono essere commessi degli errori, come è successo nel villaggio vicino a Hama, in cui hanno bruciato un albero di Natale. Possono esserci anche altri episodi: la Siria non è un piccolo Paese; finora, però, tutto sommato, il comportamento dei nuovi governanti è abbastanza positivo, accettabile.
Il Natale come è trascorso a Damasco? Avete potuto celebrare le vostre funzioni e festeggiare senza problemi?
Abbiamo potuto tenere le nostre celebrazioni e organizzare le nostre iniziative. È andato tutto bene. La maggioranza delle persone ha festeggiato, anche se con moderazione rispetto agli anni scorsi. Comunque non ci sono stati problemi.
L’albero bruciato è stato solo un episodio isolato o ce ne sono stati altri?
Dopo che l’albero di Natale è stato dato alle fiamme, ci sono state delle scuse ed è stato restaurato. Siamo un po’ vittime di queste notizie: vengono diffuse subito attraverso i media, ma non si va a vedere cosa succede dopo.
Comunque ci sono contatti ben avviati con chi ha preso il posto di Assad? Sapete a chi rivolgervi se ci sono problemi o esigenze particolari da fare presente?
Sì. Diversamente dai primi dieci giorni, in cui regnava il caos, adesso cominciamo a vedere un po’ di ordine e abbiamo allacciato dei contatti con le autorità. Per ora tutto sembra andare per il meglio.
La vita a Damasco è ripresa normalmente? I negozi, per esempio, sono aperti?
I negozi sono aperti e la gente si vede per le strade. Durante la giornata tutto si svolge come dovrebbe essere nei giorni di Natale. Nei negozi la merce c’è: da quando si sono aperte le frontiere è arrivata dalla Turchia e forse anche dal Libano. Il problema rimane la povertà e il caro prezzi: si trova quello di cui si ha bisogno, ma non ci sono i soldi sufficienti per comprarlo.
Una delle priorità per ricostruire la Siria sarà togliere le sanzioni internazionali che erano state introdotte contro Assad e che di fatto bloccano l’economia?
È un problema di politica internazionale: hanno promesso di toglierle quando avremo una nuova Costituzione che rispetta tutti. Quelli che prima erano combattenti e militanti ora devono far parte di un processo politico che si costruisce con pazienza: deve maturare con il tempo.
Cosa va riavviato il prima possibile, ora che lo Stato sta iniziando a prendere forma?
La prima cosa è sicuramente la ripresa delle istituzioni, quelle minime, che sono alla base della vita di tutti i giorni. Principalmente le forze dell’ordine, per evitare saccheggi e danneggiamenti, disordini in generale. Poi bisogna riprendere la scuola, le università. Gradualmente, quindi, andrà costruita anche la partecipazione democratica. E sarà importante il ritorno del lavoro.
Com’è il vostro rapporto con le altre confessioni religiose? Ci sono segnali di una mentalità più estremista, meno incline al rispetto di tutti?
Ci sono rapporti sereni, ma anche in fase di sviluppo. Certo, chi ha un background estremista non è che può cambiare da un giorno all’altro. E ci sono anche jihadisti combattenti stranieri: chi ha bruciato l’albero vicino a Hama non è siriano. È anche vero che bisogna essere realisti: non possiamo pretendere che vengano cacciati il giorno dopo che è stato preso il potere. Bisogna procedere con calma, tanta prudenza e saggezza.
L’importante è che la Siria sia in mano ai siriani?
I nuovi governanti sono arrivati anche per il sostegno di forze regionali e internazionali. La Siria, d’altra parte, per rilanciarsi, avrà bisogno anche degli aiuti stranieri, non solo dal punto di vista economico. Abbiamo bisogno della comunità internazionale, non per interferire, ma per sorvegliare l’andamento democratico e civile, oltre che la ricostruzione del Paese.
(Paolo Rossetti)
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