“La nostra vita è un’attesa, questa Pasqua è l’attesa di una pace che non sappiamo ancora quando verrà”, dice monsignor Antoine Audo, vescovo cattolico caldeo di Aleppo, città che non ha mai abbandonato negli otto anni di guerra che hanno devastato la Siria. Ci sono troppi interessi internazionali in ballo, ci ha detto nel corso di questa intervista, che lasciano la Siria in una situazione destabilizzata, “dove manca il lavoro, il cibo, le medicine, quasi tutto. Ma malgrado tutto la vita continua e c’è sempre speranza”. Una vita, quella dei cristiani siriani, che è testimonianza concreta di aiuto per tutti, senza distinzione di religione: “Il nostro impegno solidale è una novità per i musulmani, sono rimasti stupiti da questo. Come cristiani arabi è questa la testimonianza che cerchiamo di dare, creare una società dove tutti possano convivere in armonia”.



Monsignore, a due anni dalla liberazione come è la situazione ad Aleppo?

Viviamo in una situazione di attesa, attesa di pace e riconciliazione. Da due anni non ci sono più bombardamenti e distruzioni anche se accadono frequenti scontri a fuoco dentro e intorno alla città. La vita è molto dura dopo otto anni di guerra, sono costati moltissimo a livello sociale ed economico. I prezzi del cibo sono alti, le industrie sono andate distrutte, mancano le case, tutto questo crea un ambiente difficile. Ma malgrado tutto la vita continua, c’è sempre una speranza viva.



La Chiesa è in prima fila con impegni concreti di ricostituzione, di cosa vi occupate principalmente?

Grazie al sostegno delle comunità religiose, dei singoli cristiani, di enti internazionali come la Caritas ci occupiamo di vari progetti di aiuto a livello alimentare, sanitario ed educativo. Queste cose aiutano le persone a sopravvivere, lo si può toccare con mano ogni giorno. Ci chiediamo fino a quando saremo ancora in queste condizioni, non sembra che la pace arriverà domani, ci sarà da aspettare ancora chissà quanto.

Il futuro della Siria nonostante la sconfitta dell’Isis è più incerto che mai, come pensa si possa risolvere la situazione?



È molto difficile, è un problema a livello internazionale, regionale e locale. Ci vuole un’autorità internazionale sopra le parti che diriga veramente il processo di pace e di accordo, altrimenti le potenze straniere continueranno a tenere il paese diviso.

Lei ha detto una volta che l’Isis era un’organizzazione artificiale creata fuori della Siria, cosa intendeva?

C’è da chiedersi chi ha organizzato questa rete di terrorismo e chi l’ha fatta intervenire in Siria: gruppi armati venuti da ogni dove, che hanno ricevuto denaro in nome di una battaglia per la democrazia, cercando di distruggere la fede cristiana. Sono domande da porsi.

I cristiani siriani hanno vissuto anni di persecuzione, è possibile dire che sia un paese dove si è toccato il martirio?

Ci sono stati tanti martiri in Siria. Due settimane fa abbiamo celebrato il quinto anniversario della morte di Padre Van der Lugt, un gesuita olandese che ha dato la sua vita per il popolo siriano, fedele fino all’ultimo istante, con generosità e amore. Un uomo di pace che nonostante le minacce è rimasto devoto alla Siria facendosi amare non solo dai cristiani, ma anche dai musulmani. Ci sono state tante vittime, vescovi rapiti di cui non si è saputo più nulla, c’è stata una strumentalizzazione della religione per scopi politici.

Per i cristiani siriani la Pasqua è più passione o risurrezione?

Non c’è passione senza resurrezione e per noi c’è sempre la speranza della resurrezione nonostante la situazione difficile. La Domenica delle Palme tutte le chiese erano piene di gente che pregava, che desiderava stare insieme per mostrare solidarietà e condividere la gioia di essere cristiani e di vivere in Siria.

Ha anche detto che i musulmani sono rimasti colpiti dalla carità dei cristiani verso i poveri…

Tutti rispettano i cristiani, per il loro atteggiamento, il loro aiuto, al servizio di tutti senza distinzioni religiose. Per i musulmani questa è stata una novità, una bella testimonianza. Come cristiani è quello che cerchiamo di dare, la possibilità di vivere insieme. È importante in un mondo di violenza e di mancanza di fiducia. Il cristianesimo di lingua araba vuole dare testimonianza della nostra fede. Vogliamo mostrare che preghiamo ma siamo anche capaci di vivere nella società moderna, fatta di pluralismo, di rispetto. Per i musulmani è una testimonianza unica.

I cristiani di lingua araba hanno sempre vissuto così, non è vero?

La nostra è una esperienza unica nella storia della Chiesa, fatta di convivenza e armonia da parte delle tante confessioni, armeni, caldei, maroniti.

(Paolo Vites)