“Il presepe nasce dal desiderio dell’uomo di vedere Dio con i propri occhi”, ha scritto papa Francesco nella sua lettera apostolica Admirabile Signum. Quel desiderio innato nell’uomo di ogni tempo che San Francesco ha voluto rendere concreto con l’intento “di vedere il Creatore dell’universo che si abbassa alla nostra piccolezza e miseria, diventa come noi”. Per monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo, che ha vissuto in prima persona tutta la tragedia della guerra in Siria e le sue ancora difficili conseguenze, quella di papa Bergoglio è “una lettera semplice, profonda e personale che aiuta ad avere un vero contatto con il mistero dell’Incarnazione”. Le chiese di Aleppo, “malgrado le violenze e la profonda crisi economica, espongono tutte il presepe e le decorazioni natalizie”. La maggioranza dei cristiani caldei vive in Iraq, dove la situazione è particolarmente drammatica: “Si sta peggio che in Siria, ma il nostro Patriarca in Iraq fa di tutto perché i cristiani siano una presenza attiva e significativa. Non è facile, ma la responsabilità della Chiesa è fare sempre tutto quello che può”. E nonostante la violenza e le persecuzioni, è giusto “rimanere qui, in quella che il Papa ha definito la sua ‘beneamata Siria’, amata da Dio e speriamo anche dagli uomini”.



Papa Francesco ha scritto una lettera apostolica per spiegare il significato del presepe, ricordando che aiuta noi uomini a vedere in qualche modo Dio. Come ha accolto questa lettera?

È una lettera davvero semplice, profonda e personale, che aiuta ad avere un vero contatto con il mistero dell’Incarnazione. In accordo con tutti i vescovi delle chiese di Aleppo, abbiamo organizzato un ritiro con tutti i sacerdoti per meditare questa lettera. In tutte le chiese esporremo, come da tradizione, il presepe e anche le decorazioni natalizie, nonostante la situazione della guerra e della crisi economica.



Natale è pace e profezia di Dio che viene a incontrarci. In questo momento difficile per voi siriani che cosa significa?

Noi cristiani siamo una minoranza in Siria. Nonostante la guerra sia tornata ad affacciarsi nei territori del Nord curdo, facciamo di tutto per rimanere e dare testimonianza della nostra fede e della nostra fedeltà a Cristo. Facciamo tutto quello che possiamo per essere innanzitutto una presenza, testimoniando la pace fra di noi, credendo nella pace malgrado le violenze che colpiscono il paese. Questo è il nostro atteggiamento come cristiani.

Con la comunità islamica avete un dialogo aperto?



La parola dialogo non ha per loro lo stesso senso che ha per noi. Per i cristiani significa saper accettare ciò che è differente da noi, il non aver paura di confrontarsi con una fede diversa. Ai musulmani invece questo fa problema. Perciò dobbiamo saper parlare della stessa cosa ma in un modo diverso: questa è la sfida. Noi cristiani viviamo con i musulmani con rispetto, parliamo la stessa lingua, l’arabo, arriviamo da una stessa storia e questo aiuta, malgrado le difficoltà.

È vero che la parola “missione” per loro assume un significato negativo?

Sì, dobbiamo fare attenzione a non usare la parola “missione”, perché per i musulmani, in lingua araba, significa colonialismo e segna la storia del Medio Oriente. Preferiamo utilizzare la parola testimonianza di solidarietà, di mutuo rispetto, seguendo l’insegnamento del Concilio Vaticano II: la Chiesa come dinamica di comunione con tutti.

Costruire ponti come dice papa Francesco?

Sì, ponti non muri: è molto importante.

Padre Dall’Oglio è uno dei tanti martiri cristiani siriani. Che eredità ha lasciato?

Padre Paolo era un uomo molto intelligente e religioso, che ha dato la vita per la Siria. Un uomo di grande cultura: dell’Oriente, della Chiesa e dell’islam. Aveva una capacità profonda, era un vero gesuita, capace di grande apertura all’universale. Purtroppo dopo la sua visita a Raqqa è sparito e non si è saputo più nulla.

La sua è stata una testimonianza autentica?

Sì, testimonianza di coraggio e di fedeltà.

Lei è vescovo ad Aleppo, ma la maggior parte dei cristiani caldei vive in Iraq, dove è in corso una sorta di guerra civile.

La maggioranza dei cristiani caldei vive in Iraq, dove le proteste e le violenze rendono la situazione più difficile e drammatica che in Siria.

I cristiani fuggono verso la Siria?

Il nostro Patriarca in Iraq si prodiga molto perché i cristiani siano una presenza attiva e significativa. Non è facile, ma la responsabilità della Chiesa è fare sempre tutto quello che può.

Avete sempre detto che i cristiani non andranno via dal Medio Oriente. Ne è ancora convinto?

Sì, questo è l’atteggiamento della Chiesa. Come dice il Papa, questa è la nostra “benamata Siria”. Una presenza amata da Dio e, speriamo, anche dagli uomini.

(Paolo Vites)