È stata colpita da una serie incredibile di sciagure, come se la sorte si fosse avventata sulla Siria cercando di metterla in ginocchio. Dodici anni di guerra al termine dei quali Assad è rimasto al potere sostenuto dall’Iran e dalla Russia, ma anche il Covid e, infine, il devastante terremoto che ha colpito duro nel febbraio scorso distruggendo intere città anche nella vicina Turchia. E ora ci si mette la guerra tra Israele e Palestina, che aumenta l’instabilità dell’area: la Siria è uno dei Paesi in cui è più alto il rischio di allargamento del conflitto ed essa stessa è caratterizzata da scontri e da incursioni degli israeliani sugli aeroporti per evitare che attraverso queste strutture arrivino aiuti alle formazioni finanziate dagli iraniani nella zona. Un Paese in cui diversi attori stranieri interferiscono per interessi che non sono propriamente quelli della gente.



Così, racconta monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo, la maggior parte della popolazione vive oggi grazie agli aiuti umanitari, fa fatica ad avere acqua, gas, elettricità e molti preferiscono andare all’estero in cerca di fortuna. Per questo la comunità cristiana si sta assottigliando, anche se partendo dal Natale cerca di immaginare il suo futuro.



La Siria viene da anni in cui ha dovuto affrontare molte avversità, a partire dal conflitto che ha segnato a lungo il Paese. Com’è la situazione oggi, ci sono segnali di rinascita?

Pesano dodici anni di guerra, il coronavirus, il terremoto del febbraio scorso: siamo in una situazione in cui la fatica la fa da padrona. E soprattutto si sente la crisi economica, tutto è caro e non c’è una visione politica chiara che punti a ristabilire la pace e il ritorno alla normalità.

Come vive la gente, quali problemi deve affrontare nella sua quotidianità?

C’è gente che lavora e ha qualche disponibilità finanziaria, ma la maggioranza vive nella povertà: i prezzi sono troppo alti e non si guadagna abbastanza per vivere dignitosamente. Le Chiese e le associazioni umanitarie  si stanno dando da fare per venire incontro alle esigenze delle persone a livello medico ed educativo, per procurare del cibo. Si va avanti così. Ma non è una situazione normale.



Senza aiuti da parte delle comunità cristiane e dei volontari non c’è possibilità di sopravvivenza?

Dall’inizio della guerra c’è un movimento strutturato, che lavora con molta professionalità. Ci sono gruppi di giovani molto ben formati per stilare rapporti, fare programmi per far arrivare gli aiuti. Ci sono tanti organismi che si sono fatti avanti grazie alle Chiese, alla Croce Rossa. Ci sono aiuti che arrivano dall’estero. Malgrado l’embargo riusciamo a far arrivare qualcosa.

La guerra fra Israele e Palestina ha peggiorato le cose?

Una fatica che si aggiunge ad altre fatiche. Noi siamo già in guerra da più di dodici anni e ora il conflitto che sta interessando Gaza aggrava la situazione. Non se ne parla molto ma induce un sentimento di stanchezza generale. Quando è troppo è troppo, è difficile sopportare una situazione del genere. Queste nuove violenze sono una mancanza di rispetto all’umanità, alla gente.

La Siria dopo il 7 ottobre ha visto aumentare gli scontri fra le diverse fazioni rimaste attive dopo dodici anni di guerra. Le ragioni che avevano portato a un conflitto disastroso non sono state ancora eliminate?

Mi sembra che alle frontiere con la Turchia e con l’Iraq siano attivi gruppi armati che si sono resi protagonisti di azioni violente, mentre ci sono bombardamenti regolari a Damasco e ad Aleppo sugli aeroporti controllati dal governo perché non arrivino aiuti e sostegni dall’estero. Bombardano ogni settimana, entrambi gli aeroporti sono chiusi, non si può andare da nessuna parte.

In Siria ci sono spiragli per un dialogo tra le parti, anche quelle che si fronteggiavano apertamente con le armi? È stato avviato un percorso per riuscire a rilanciare il Paese?

Sui media e a livello ufficiale non se ne parla, ci sono contatti che restano segreti, non se ne trova traccia su Facebook o Youtube o sui mezzi di comunicazione in generale. Speriamo che si torni a dialogare ma questo per ora non avviene a livello istituzionale, non è una cosa ben organizzata. Non sappiamo chi siano gli attori di questo processo e quello che si dicono. Siamo in attesa di un cambiamento ma siamo sempre legati a un contesto regionale, alle guerre che caratterizzano l’area.

Non c’è ancora, comunque, un piano del governo perché il Paese si riprenda?

Non mi sembra. La crisi dell’economia è così grande che ogni giorno è un problema avere l’elettricità, l’acqua, il gas. In questo consiste la nostra fatica quotidiana, in un contesto in cui bisogna affrontare anche il problema della corruzione: c’è sempre qualcuno che cerca di approfittare della situazione.

La comunità cristiana come sta reagendo? E i rapporti con i musulmani come sono, tutte queste difficoltà li hanno incrinati?

In generale in Siria c’è rispetto per i cristiani e per la loro tradizione: i musulmani sanno che i cristiani non hanno interessi nella politica, nel potere. Pensano che tengano al loro Paese occupandosi di aiutare le persone in tutti i modi possibili, dal punto di vista sanitario o alimentare che sia. Il grande problema qui resta quello dell’emigrazione. Ci sono tante famiglie che cercano di andarsene, verso il Canada, l’Europa, l’Australia. Questo per noi è motivo di grande sofferenza perché la realtà cristiana del Paese sta cambiando molto a causa di queste partenze. Non c’è più una presenza forte e significativa. Il tessuto sociale è cambiato, soprattutto a livello demografico: il nostro numero è già limitato e questo aspetto aggiunge un elemento di debolezza.

In una situazione così drammatica cosa dirà ai suoi fedeli a Natale?

Il Natale si continua a celebrare con semplicità e gioia: i cristiani si radunano insieme per questo, preparando l’albero e il presepio in un clima di familiarità. Da una parte ci sono tanti problemi, anche molto gravi, ma bisogna continuare a vivere: dobbiamo approfondire la nostra fede cristiana e cercare i segni della presenza della Carità di Dio. Solo così si può andare avanti.

(Paolo Rossetti)

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