“Siamo in mezzo a questa tragedia, non dico paralizzati ma preoccupati per le emergenze, i bisogni che sono emersi. A partire dalla ricostruzione di queste case: alcune sono totalmente danneggiate oppure rischiano di crollare”. Firas Lutfi, ministro francescano della Regione San Paolo (Giordania, Libano, Siria) è ad Aleppo, in Siria, a fianco delle persone colpite dal terremoto, segnate dalla perdita dei loro cari e di tutte le loro cose.
Pesa la mancanza di cibo, di farmaci, il timore di discriminazioni nella distribuzione di aiuti, ma soprattutto il senso di frustrazione e di terrore che le scosse di dieci giorni or sono hanno lasciato nell’animo delle persone.
Come sta reagendo la gente a qualche giorno dal sisma?
C’è la difficoltà di convincere le persone che possono farlo a rientrare nelle loro abitazioni. La paura, il terrore, lo shock che hanno avuto nell’attimo del terremoto è qualcosa che ha impresso l’animo profondamente e ha fatto sì che non riescano a ritornare, devono superare questo trauma. Un altro problema terrificante dal punto di vista psicologico.
Quindi anche le persone che potrebbero rientrare a casa non lo fanno perché sono troppo spaventate?
Esatto. Abbiamo ancora l’emergenza nei conventi dove ospitiamo poche centinaia di persone, non sono più migliaia come all’inizio, quando erano 5mila persone, 2500 famiglie. Ieri ho visitato tutte queste “case di accoglienza”, i conventi che sono diventati centri per sfollati, per tutti, musulmani e cristiani: le persone ospitate sono diminuite ma sono ancora 500. Almeno dai francescani. Poi ce ne sono altri 400 dai salesiani e così via. Solo ad Aleppo.
Com’è la vita quotidiana delle persone, cosa devono affrontare?
Alcuni sono paralizzati dalla paura. Tanti hanno perso il lavoro, avevano un negozio, un laboratorio, una farmacia e non lo hanno più. Tanti in seguito al crollo di questi palazzi non hanno più la propria attività, l’officina o il negozio per riparare i cellulari. Hanno perso la casa ma anche il lavoro. Le scuole sono chiuse, per il momento. Il Governo ha detto che alcune scuole sono a rischio e sono state avviate le commissioni di ingegneri che devono valutare l’agibilità degli edifici, controllare strutture come scuole, ospedali, abitazioni.
Il cibo c’è per tutti? E le medicine?
Il cibo non è mancato, però non è sufficiente per tutti. Aleppo Est, la zona più povera della città durante la guerra, soffre tantissimo: la gente è arrabbiata proprio perché non arriva il cibo, c’è tanta distruzione. Si sono attivate le Ong e anche il Governo ha facilitato molto l’arrivo degli alimenti, però ci sono zone più servite e altre più in difficoltà, anche perché è più difficile arrivarci.
Ci sono persone che non hanno proprio da mangiare?
Purtroppo sì. O hanno poco. C’è chi mangia una volta al giorno, altri tre volte al giorno.
Dal punto di vista sanitario com’è la situazione? Gli ospedali funzionano?
Ci sono molti feriti, alcuni ospedali soffrono della mancanza di un po’ di gasolio per far funzionare i generatori. Sì, c’è anche carenza di alcuni tipi di medicine. Diversi magazzini di farmaci sono crollati: siamo in un momento ancora di massima emergenza. Bisogna ricordarsi che questa è una tragedia che viene dopo la tragedia di 12 anni di guerra: una situazione che ha fatto crescere i bisogni al massimo.
Di scosse se ne sentono ancora?
Sì, continuano a sentirsi ma meno forti della prima e di quelle immediatamente successive.
Si è ancora al lavoro per estrarre corpi dalle macerie?
Purtroppo non c’è più speranza di trovare persone vive, ma sotto le macerie ci sono ancora tanti cadaveri, tanti morti. La gente vuole recuperare i corpi delle persone care.
Come passano la giornata le famiglie che sono da voi in convento?
Alcuni vanno a trovare la loro casa distrutta o semidistrutta e rientrano per dormire, altri dormono in macchina perché hanno ancora paura delle scosse, altri sono malati e non possono nemmeno muoversi. Erano già malati nelle loro case e per fortuna sono stati portati via in tempo. C’è un reparto nel convento in cui stanno tutti i malati, paralizzati o con altri problemi di salute.
Ci sono medici che vi danno una mano per curarli?
Ci sono dei volontari, ci sono dei medici, il personale del convento si è attivato dedicandosi solo a loro. Si sta facendo un lavoro veramente straordinario. Gli ospedali funzionano anche, ma sono affollati di feriti. Abbiamo creato un piccolo ospedale anche noi, un ospedale e un rifugio per tutti.
Si parla anche di un’epidemia di colera, succede anche da voi?
In una situazione come questa e dopo la povertà lasciata da 12 anni di guerra si può trovare di tutto. In questa zona il colera non c’è, o almeno non se ne parla, non si sa. Sicuramente altrove, dove la vita è più dura, si possono trovare un po’ tutte le tragedie sanitarie.
Com’è invece la situazione nei villaggi, nei centri vicino ad Aleppo, ne siete a conoscenza?
Abbiamo i frati che sono nella periferia di Idlib e attestano che lì la distruzione è totale: più del 99% delle case sono crollate, la gente sta per la strada, in alcune tende. Lo stato di emergenza lì è ancora più acuto e i bisogni più drammatici.
Da dove arrivano gli aiuti?
Da tutta la comunità internazionale, alcune Ong erano già operanti in Siria a causa della guerra.Ci sono la Caritas e altre organizzazioni. Per sei mesi sono state tolte le sanzioni, gli aiuti arrivano. Sempre attraverso il Governo siriano. Comunque ci sono più soggetti disponibili ad aiutare.
Quali sono le nazioni che hanno mostrato più solidarietà?
Gli Emirati Arabi, la Giordania, l’Egitto hanno mandato aiuti, anche il Libano. Poi gli Stati europei, l’Italia ha già mandato qualche aereo all’aeroporto di Beirut per poi indirizzare il materiale inviato in Siria. Ma non li so veramente contare, sono tanti. Spero che questi aiuti vadano per tutti i siriani, senza discriminazioni, senza distinzioni.
C’è il timore che venga fatta qualche discriminazione?
In una situazione del genere, dove c’è un conflitto, è facile cadere in questa trappola.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.