Vince il Partito popolare con 136 seggi, 47 in più rispetto al 2019. E siccome la destra di Vox ha ottenuto solo 33 seggi, addirittura 19 in meno, un’eventuale coalizione con i due partiti protagonisti non sarebbe sufficiente ad avere la maggioranza, fissata a 176. Le elezioni politiche spagnole, insomma, hanno bocciato la destra di Santiago Abascal e anche la possibilità di un governo di centrodestra fondato su questi due partiti.



Un quadro politico complicato, anche perché il Psoe del capo del Governo uscente Sánchez è stato designato dalle urne secondo partito, recuperando voti rispetto alle previsioni.

Le difficoltà a formare un governo potrebbero essere insormontabili, spiega Agustín José Menendez, giurista, attualmente professore di filosofia del diritto nell’Università Complutense di Madrid. L’esito più probabile è che si torni alle urne.



Professore, qual è il dato saliente dei risultati di queste ultime elezioni in Spagna?

Il dato saliente è la persistenza della pluralità politica, economica e territoriale della Spagna. La legge elettorale spagnola – tante volte discussa in maniera un po’ superficiale in Italia –, combinata con la mappa dei collegi elettorali, aveva dato un contributo fondamentale alla formazione di un sistema politico essenzialmente bipartitico dal 1977 in poi. Malgrado la pluralità, ideologica e territoriale, della Spagna. La crisi del 2010 ha evidenziato fino a che punto un sistema bipartitico non corrisponda alla realtà politica, economica e territoriale del Paese. Malgrado la legge elettorale sia rimasta invariata, e i “nuovi” partiti  Ciudadanos e Podemos abbiano fatto errori madornali, la pluralità persiste. Il sistema maggioritario, si diceva, garantiva di conoscere il nome del prossimo “presidente del gobierno” la notte stessa delle elezioni. Adesso si dimostra che purtroppo non è così. Il nostro sistema elettorale non garantisce neanche questo.



Il Partito popolare è la formazione politica più votata ma Feijóo, il suo leader, non ha i numeri per garantire già da ora un governo. Nelle sue prima parole ha aperto al dialogo con tutti: quali sono le strade percorribili per provare a governare? Con chi si può alleare e su che basi?

È da mesi che il leader del Partito popolare evoca, in diverse varianti, la “grosse koalition” con i socialisti. Non è chiaro però se questa non sia stata, soprattutto, una mossa tattica per dividere i dirigenti del partito socialista, dove molti non sono entusiasti di Sánchez e meno ancora della coalizione con Podemos. Ma a meno che il voto degli spagnoli residenti nei Paesi esteri non cambi i risultati, Feijóo semplicemente non ha i numeri. E non avendoli, purtroppo, le sue prossime mosse dovranno essere orientate a garantirsi la continuità come leader del Partito popolare. Cosa non scontata. Le ambizioni nazionali di Isabel Diáz Ayuso sono molto note.

Vox ha ridotto di parecchio i suoi consensi nonostante l’appoggio di alcuni leader stranieri, compresa Giorgia Meloni. Come si spiega questa sconfitta?

Vox non è stato dato mai in ascesa nei sondaggi. Aveva perso già consensi nelle amministrative della primavera e adesso ha confermato la tendenza al ribasso. Che ha varie cause, ma soprattutto due.

Quali?

Primo, le circostanze erano ben diverse rispetto al 2019, quando nella prima tornata elettorale il Partito popolare rischiava proprio il “sorpasso” di Ciudadanos e il discorso “trasgressivo” di Vox poteva attirare facilmente votanti delusi dalla posizione centrista del Pp.

E il secondo motivo?

Vox non ha mai superato il suo discorso profondamente anti-statalista, dove è difficile non vedere l’influenza della peculiare versione dell’ordoliberalismo applicata dai “tecnocrati” di Franco. Il risultato è che Vox non ha avuto mai la capacità di attrarre il voto dei “perdenti” della globalizzazione, come ha RN in Francia o FdI in Italia. Anzi, la prospettiva della sua eventuale partecipazione a un governo di coalizione con il Pp potrebbe avere dato una forte spinta al voto a sinistra. Amplificato dalle posizioni marcatamente illiberali di Vox in tante materie, cominciando da quella sulla “violenza contro le donne”, un’espressione che i dirigenti di Vox caratterizzano come “fondamentalista”, e alla quale preferiscono la non soltanto sgrammaticata ma assurda “violenza intra-familiare”.

Il Psoe, invece, ha ribaltato le previsioni ed è riuscito a ottenere un risultato migliore del previsto. Pur essendo il secondo partito esce vincitore dalle urne?

Altro che sconfitta, è un dato oggettivo che il Psoe ha aumentato voti e seggi. Detto questo, è importante aggiungere che il risultato è diverso in diversi territori. I socialisti hanno avuto risultati eccezionali in Catalogna, molto buoni nel Paesi Baschi, e migliori del previsto, ma non strepitosi, nella “España vaciada”. Le politiche orientate a trasformare il conflitto in Catalogna, con gli “indultos” ai leader della “secesión” non soltanto hanno ridotto la tensione politica, ma sono stati plebiscitati dai votanti.

Cosa dice questo risultato elettorale in vista delle elezioni europee del 2024: la possibile alleanza tra popolari e conservatori ne esce indebolita?

Le tendenze politiche di fondo in Europa dopo il coronavirus e la guerra in Ucraina sono ancora da studiare. In tanti Paesi c’è stato un netto incremento del voto o delle aspettative di voto della destra e dell’estrema destra. Ma perché? Non lo sappiamo. Sappiamo, però, che almeno per il momento, quel movimento del consenso verso destra verificatosi in Italia e in Grecia e anche nei sondaggi in Francia e in Germania, non si può dare per scontato.

Quali sono i temi su cui potrebbe cambiare l’orientamento dell’elettorato?

Innanzitutto c’è un mistero da risolvere: l’assenza di una discussione sulla guerra e sul ruolo dell’Europa nel conflitto. O meglio, sul non-ruolo dell’Europa. Se ne è discusso appena in Italia, ancor meno in Spagna. È un tema che potrebbe cambiare le tendenze se e quando diventerà un oggetto centrale della discussione pubblica. In ogni caso, quello che è chiaro è che siamo in un momento storico nel quale l’importanza dell’azione collettiva è destinata a crescere, anche per pure ragioni demografiche. Come si articolerà questo bisogno di pubblico e di collettivo dipenderà anche dalla capacità dei leaders di proporre modelli sociali, economici e culturali.

Esiste la prospettiva reale di un ritorno alle urne per l’impossibilità di trovare una formula politica che garantisca un governo?

Teoricamente ci sono tante alternative possibili al ritorno alle urne. Ma l’esito più probabile è una seconda tornata, come è già successo nel 2015 e nel 2019. Detto questo, aggiungerei che sei mesi sono un’eternità in politica.

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