La svolta sanitaria di Spagna e gran Bretagna è una delle novità di questi ultimi giorni. In Spagna il premier Pedro Sánchez ha imboccato la via della normalizzazione: trattare la pandemia come una normale influenza. Monitoraggio-sentinella, e non più universale, sull’intera popolazione; tamponi nei focolai principali, non al minimo malessere o avviso di contagio. Agustín Menendez, giurista, esperto di diritto comparato, docente di filosofia politica nell’Università Complutense di Madrid, da noi intervistato, ridimensiona la portata di questi provvedimenti, adottati “non per scelta, ma perché il numero di contagi ha superato la capacità logistica delle autorità sanitarie. E allora si fa di necessità virtù”.
Inevitabile un paragone con la realtà italiana. In Spagna l’assenza di obbligo ha rafforzato la fiducia nel sistema sanitario, per quanto messo in crisi da anni di tagli, e spinto le vaccinazioni. In Italia invece l’obbligo vaccinale indiretto mediante green pass ha aumentato la riluttanza a vaccinarsi. E risulta “problematico” dal punto di vista morale e politico, secondo Menendez, perché “porta a società dove si fa fronte all’irresponsabilità con il paternalismo. La caccia agli untori è sempre meglio evitarla”.
Sánchez sta pensando di cambiare l’approccio del governo al Covid, trattandolo come una influenza comune. Perché questa scelta?
Forse si pensa di poter fare di necessità virtù. L’altissima contagiosità della variante Omicron, insieme alla sua minore virulenza e alla riduzione drastica della percentuale dei decessi, sembra richiedere un cambio di strategia. Ma gli scienziati più autorevoli esprimono perplessità. Certamente dobbiamo trovare il modo di evitare che il Covid ci porti a trascurare la cura di tutte le altre malattie. Ma in spagnolo diciamo che “la prisa (fretta, ndr) es mala consejera”. Abbiamo ancora davanti settimane difficili, che non saranno migliori grazie a un cambiamento nella strategia di comunicazione. Anzi.
Come si pensa di cambiare protocolli e restrizioni?
Non mi risulta ci siano ancora proposte concrete. Si dice di voler rendere molto più selettivo l’uso dei tamponi molecolari, più costosi ma molto più precisi, ridurre le quarantene, modificare profondamente la misura dell’incidenza della malattia, dando molta meno importanza al numero di casi. Di fatto, cose che stanno già succedendo, non per scelta, ma perché il numero di contagi ha superato la capacità logistica delle autorità sanitarie. Oltre questo, ci sono slogan un po’ vuoti, come quello della “autocura”.
In ogni caso, questa svolta implica una distinzione netta tra contagio – un’illusione pensare di impedirlo – e monitoraggio/cura delle forme gravi di malattia.
Non è tanto una scelta, quanto la razionalizzazione di quello che di fatto si sta facendo. La tempistica delle dichiarazioni di Sánchez viene però fortemente condizionata dalle grave carenze strutturali del sistema sanitario spagnolo, non dissimili da quelle italiane o portoghesi.
E a che cosa è dovuta questa insufficienza?
Ai tagli scellerati nella spesa pubblica in questi ultimi dodici anni; che potrebbero però essere superiori nel caso italiano. Si pensi ai tagli ai posti letto nelle terapie intensive. Queste carenze ci hanno già fatto pagare un alto prezzo in vite umane nella prima ondata. Speriamo che il disastro non si ripeta.
In Spagna c’è un’opposizione molto forte alle scelte del governo in materia sanitaria?
La risposta non è semplice. Se guardiamo ai rapporti fra governo centrale e governi regionali, a prescindere del colore politico, c’è stato un ampio consenso, con l’unica eccezioni della Comunidad autónoma de Madrid. Infatti il passaporte Covid (green pass) è stato introdotto da governi regionali, guidati tanto dal Partito popolare quanto dal Partito socialista. Se la pandemia è diventata una questione politica, lo si deve all’opposizione a quasi tutte le restrizioni da parte del governo regionale di Madrid, seguito dalla direzione nazionale del Partito popolare e da Vox (l’estrema destra), ma non dai presidenti regionali del Partito popolare. Le ambizioni politiche nazionali della presidentessa di Madrid Isabel Diaz Ayuso sembrano evidenti a tutti.
In Spagna non c’è obbligo vaccinale. Qual è stato l’andamento delle vaccinazioni?
Più del 90% degli over 12 sono vaccinati, ovvero l’80% della popolazione totale.
I risultati si possono definire commisurati al problema?
I numeri parlano da soli. La forte fiducia nel sistema sanitario pubblico è stata decisiva.
Come definirebbe invece le scelte di politica sanitaria del governo italiano?
La riluttanza a vaccinarsi che mi sembra di vedere in Italia è un sintomo di problemi sociali e politici più profondi, direi strutturali. Che richiedono soluzioni strutturali, non misure orientate esclusivamente a risolvere i problemi a corto termine. E anche uno sforzo realmente informativo che purtroppo non c’è stato.
Il 22 luglio 2021, in conferenza stampa, Draghi disse che il green pass, certificando la vaccinazione, preveniva i contagi e garantiva la sicurezza delle relazioni. Forse è stato il più grave fraintendimento alimentato dal governo. Che ne pensa?
Se Draghi ha avuto la fiducia del Parlamento è perché tanti pensavano che fosse competente. Ma anche ammesso il suo sapere in campo finanziario e monetario, questo non implica una pari preparazione in campo epidemiologico. Bastava ascoltare l’opinione di un infettivologo o epidemiologo serio per rendersi conto che quello che Draghi stava dicendo era non soltanto sbagliato, ma anche molto controproducente. Il vaccino evita le forme gravi della malattia, e questo è fondamentale, ma non impedisce il contagio. Il vaccino non è mai stato la panacea. Non so chi abbia consigliato Draghi, ma lo ha consigliato molto male.
Cosa comporta sotto il profilo sociale e politico l’induzione alla vaccinazione via obbligo indiretto (nudge) mediante green pass?
Si potrà discutere la convenienza o la costituzionalità della vaccinazione obbligatoria, questione decisamente complessa, ma certamente è preferibile al green pass. Il ricorso al “nudge” è molto problematico dal punto di vista morale e politico in un sistema democratico.
Perché?
Perché ci porta a società dove si fa fronte all’irresponsabilità con il paternalismo. La caccia agli untori è sempre meglio evitarla.
A chi giova il nemico pubblico?
Ai governanti deboli.
“Una strategia di vaccinazione basata su richiami ripetuti” dei vaccini attuali “ha poche possibilità di essere appropriata o sostenibile”, ha spiegato l’Oms. Come commenta le decisioni politico-sanitarie del governo italiano alla luce di una notizia come questa?
È una domanda da rivolgere a chi è competente. Tuttavia mi sembra materialmente impossibile, per ragioni logistiche, fare un booster ogni quattro mesi, perché vaccinare i vaccinabili prende più di quattro mesi.
Draghi: “gran parte dei problemi che abbiamo oggi dipendono dai non vaccinati”. Anche in presenza di questi numeri?
Su certe cose, semplificare non giova mai. Una volta che si è stabilito che Omicron è capace di contagiare anche quelli che, tramite il vaccino o tramite il contagio naturale, erano protetti contro le varianti anteriori, è evidente che ci saranno tanti vaccinati che non soltanto saranno contagiati, ma anche contageranno.
Questo vuol dire che il vaccino è inutile?
No, niente affatto. Ma non è neppure vero che non ci sarebbe stata questa ondata se tutti gli italiani o gli spagnoli si fossero vaccinati.
Cosa comporta la differenza ormai evidente tra green pass italiano e green pass europeo, concepito per mantenere aperte le frontiere Schengen e fondato sul principio di non discriminazione?
Il vero nodo della questione è l’accesso al lavoro. Una questione che è meglio non banalizzare, come si è fatto in questi giorni, in sensi e direzioni opposte.
Alla luce di tutto questo, qual è il principale problema politico del dopo pandemia in Italia e in Spagna?
Le situazioni sono diverse, ma mi sembra che in quasi tutti i paesi europei la pandemia non abbia giovato alla solidità dei sistemi politici. C’era tanto malessere diffuso già prima della pandemia. Adesso rischiamo che questo malessere non sia articolato in maniera costruttiva, ma distruttiva. Ci giochiamo tantissimo nei prossimi mesi, a cominciare dalla cosiddetta riforma della “governance” economica europea.
(Federico Ferraù)
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