L’obiettivo del Mes? Farci diventare debitori contro la nostra volontà. Non innanzitutto per ragioni economico-finanziarie (i soldi che mancano), ma squisitamente politiche. Lo spiega al Sussidiario Augustín José Menéndez, docente di diritto pubblico e comparato nell’Università Autonoma di Madrid. E il progetto si sta realizzando. Finora Conte ha preso tempo sul Mes, ma forse non aveva calcolato la resistenza interna di una parte di M5s. È vero, ci sarebbe il soccorso di Berlusconi. Ma il Parlamento risulterebbe nettamente diviso, proprio alla vigilia del Consiglio Ue del 16-17 luglio, un appuntamento cruciale perché si parlerà del prossimo bilancio europeo. E sarebbe un vero guaio, per Conte, parteciparvi con un consenso dimezzato e il partito – i 5 Stelle – che lo ha messo a palazzo Chigi diviso al suo interno.



A svelare in modo sorprendente la debolezza del governo è stato Mario Monti con un articolo uscito ieri sul Corriere della Sera. Monti ha suggerito a Conte di prendere tempo facendosi dare un mandato parlamentare in cui il Mes venga solo menzionato senza un rifiuto pregiudiziale. In questo modo – secondo Monti – il governo può guadagnare tempo permettendo al Mes di perdere “alcuni dei suoi aspetti totemici”, facendo “prevalere il pragmatismo”.



Menéndez è coautore di un recente saggio dedicato proprio al Fondo salva-Stati, Mes. L’Europa e il trattato impossibile dove si spiega bene, tra molte altre cose, che il Mes “light” non esiste. Il “meccanismo europeo di stabilità” è stato concepito come strumento del creditore per controllare politicamente il debitore e tale è rimasto.

Professore, cosa pensa dell’articolo di Mario Monti al Corriere?

Avere il sostegno di una maggioranza “bipartisan” nel Parlamento nazionale è sempre una risorsa nelle trattative europee. Non mi risulta però che ci sia un accordo tra le forze rappresentate nel Parlamento italiano sul “non rifiutare pregiudizialmente di attivare il Mes”. Forse sbaglio, ma leggendo i giornali ho un’impressione diversa.



Che cosa si dovrebbe fare?

Direi che sarebbe più utile cominciare chiedendosi non tanto cosa “all’Europa basti sapere”, come fa il senatore Monti, ma come fare perché il Mes perda i suoi “aspetti totemici”. Che sono oggettivi. Perché non un bel mandato parlamentare di riforma del Regolamento 472/13? Perché non tentare di coinvolgere altri parlamenti e governi nazionali dell’Eurozona?

Vediamo di capire. “Adesso che il Mes non è più condizionato” (Romano Prodi), e che il prestito per uso sanitario sarebbe a tassi negativi, chi vi si oppone, almeno in Italia, è come chi, avendo vinto alla lotteria, non passa a ritirare il premio.

È sempre saggio prendere in conto tutti gli aspetti di una determinata decisione e non solo quelli finanziari, per quanto importanti. Che il tasso d’interesse sia basso, eventualmente negativo, non vuole dire che non ci siano altre condizioni ancora più fondamentali da considerare. Su queste, mi sembra che il presidente Prodi in questo caso non sia ben informato. 

Perché, professore?

Il dato di fatto è che il quadro normativo del diritto europeo sull’assistenza finanziaria rimane invariato, e quindi la condizionalità non è diventata un “optional”. È un bene che i dirigenti europei leggano più Keynes e meno Alesina. Ma se le cose stanno così, la domanda da fare è perché, invece di fare dichiarazioni politiche, non approvano un bell’emendamento alle norme europee che richiedono la condizionalità, cominciando dal Regolamento 472/2013, e proseguendo idealmente con l’articolo 136.3 Tfue

“Se un paese accetta il Mes” ha detto Klaus Regling al Corriere il 19 aprile scorso, “prestito senza condizioni”. L’obiettivo si è realizzato: le condizioni sembrano sparite con il Pandemic Crisis Support (Pcs) o Mes sanitario. Tuttavia anche la dichiarazione di Regling assomiglia ad una “condizionalità”: far accettare il Mes ai paesi – in questo caso l’Italia – che fanno resistenza. Che ne pensa?

Tutte le relazioni di credito sono relazioni di potere. Pertanto, quando viene instaurata una relazione creditizia su insistenza del creditore e con grande riluttanza da parte del debitore, sembra giustificato chiedersi il motivo per cui il creditore attira il debitore in modo così insistente. 

Appunto, perché? 

Tutto il meccanismo dell’assistenza finanziaria nell’Eurozona è orientato a creare un fortissimo vincolo esterno sul debitore controllato dai creditori. Insisto, forse le intenzioni di tanti politici europei sono cambiate, ma le norme e le strutture istituzionali rimangono quelle che si sono create dieci anni fa. Las palabras se las lleva el viento, il vento si porta via le parole. Le norme giuridiche, invece, rimangono.

Che relazione c’è tra il Mes sanitario e il Regolamento 472/2013, che nella stampa e in tv non viene mai citato?

I ministri delle finanze si sono messi d’accordo per dare una specifica interpretazione alla condizionalità richiesta dell’articolo 136.3 Tfue. Basterà che lo Stato debitore usi i soldi per le spese sanitarie causate dal Covid-19. Rimane il fatto che l’assistenza sanitaria prende la forma di una linea di credito precauzionale del Mes. Per questo dobbiamo fare i conti con il Regolamento 472/2013. 

Che cosa prevede il Regolamento citato?

Prevede non soltanto una “sorveglianza rafforzata” in questi casi; non esclude, a certe condizioni, l’eventuale imposizione di un programma d’aggiustamento macroeconomico. 

E significa?

Vuol dire che le condizioni “leggere” inizialmente stabilite possono rapidamente evolvere nella direzione di una condizionalità ben più incisiva. Alcuni ci dicono che questo è fantascienza. Ma siamo sicuri che rimarrebbe tale con una direzione politica diversa in Germania, Olanda e Svezia?

In altri termini, anche aderendo al Mes sanitario, il rischio dell’aggiustamento macroeconomico o della ristrutturazione del debito c’è ancora.

Mi permetterà di fare quello che fanno i giuristi più noiosi, che è citare il tenore letterale delle norme giuridiche, in questo caso dell’articolo 3.7 del regolamento 472/2013. Dice così: “Se (…) la Commissione giunge alla conclusione che sono necessarie ulteriori misure e che la situazione economica e finanziaria dello Stato membro in questione ha importanti effetti negativi sulla stabilità finanziaria della zona euro o dei suoi Stati membri, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può raccomandare allo Stato membro interessato di adottare misure correttive precauzionali o di predisporre un progetto di programma di aggiustamento macroeconomico”.

Direi che non c’è bisogno di spiegazioni.

Azzarderei che il problema non sono i 36 miliardi della linea di credito del Mes. L’obiettivo del Fondo salva-Stati (Mes) e di chi lo difende è rafforzare il vincolo esterno che l’appartenenza alla Eurozona già implica, aggiungendo una nuova leva di controllo. 

Lei ha fatto critiche molto puntuali all’impianto di “soft law” nel quale galleggiano il Mes, il Pcs, e le intenzionalità politiche degli attori europei, Stati compresi. È possibile richiamarle in breve?

La cosiddetta “governance” economica europea è un mare di norme informali fatto di guidelines, memoranda of understanding, letters of intention e via dicendo, fra i quali la lettera di Gentiloni e Dombrovskis sul Mes. A colpo d’occhio, tutto questo è molto “chic”. Invece delle norme giuridiche “tradizionali”, ecco le regole del secolo XXI! Ma questa informalità ha un prezzo salatissimo.

Quale?

La sicurezza. Ricordiamoci che i famosi memoranda of understanding ai quali si condizionò l’assistenza finanziaria a Grecia o Portogallo erano riscritti ogni sei mesi appunto perché “flessibili”. I creditori potevano dettare le condizioni a loro volontà, senza essere vincolati neppure a delle condizioni anteriori. 

Allo stesso modo, oggi può darsi che Gentiloni e Dombrovskis interpretino le condizionalità in un certo modo. Ma domani… 

Domani altri commissari possono essere d’un diverso parere, e basterà che scrivano un’altra lettera perché tutto cambi. La “resistenza” al mutamento da parte del diritto non è soltanto pesantezza, è anche una garanzia contro l’arbitrarietà.

Ma allora perché non si imbocca la via maestra di una modifica del Regolamento e dei Trattati?

Una ragione fondamentale è la complessità del processo decisionale europeo. Che spiega non soltanto il ricorso al soft law, ma anche la frequenza delle decisioni emergenziali. Ma in questo caso mi sembra che tanti ignorino – o vogliano ignorare – la posta in gioco e, al tempo stesso, che “l’informalità” fa molto comodo ad altri. 

Per essere più espliciti?

Non mi pare possibile che i governi dei paesi cosiddetti “frugali” possano dire sì a una proposta di emendamento del Regolamento 472/2013. 

(1 – continua)

(Federico Ferraù)