La Spagna, uno dei paesi più colpiti in Europa dalla pandemia con quasi 79mila morti e 3,5 milioni di casi, ha revocato lo stato di emergenza in vigore da ottobre per combattere l’emergenza Covid-19: ora gli spagnoli, per la prima volta dopo mesi, possono viaggiare tra le regioni, in gran parte delle quali è stato abolito anche il coprifuoco. Una misura accolta da manifestazioni di gioia in molte città. Ma la fine dello stato di emergenza non significa tuttavia lo stop a tutte le restrizioni, visto che le comunità autonome possono continuare a limitare l’orario di apertura dei locali. E lo stesso coprifuoco, così come la chiusura di un territorio, può essere ripristinato, ma solo con l’approvazione di un tribunale.



E’ quello che continua ad accadere nei Paesi Baschi e alle Canarie, dove il tasso dei contagi è ancora elevato, mentre il limite agli spostamenti notturni è stato confermato in Navarra, comunità valenciana e Baleari. Come si è arrivati a questa decisione di revoca dello stato di emergenza? “In Spagna – risponde Darìo Menor Torres, ex corrispondente dall’Italia del quotidiano spagnolo La Razón, attualmente a El Correo – la situazione è abbastanza simile a quella dell’Italia: diversi settori chiedevano da tempo una maggiore apertura, anche perché i dati dell’epidemia stanno migliorando e la campagna vaccinale sta accelerando”.



Qual è stata la reazione dell’opinione pubblica e dei maggiori media spagnoli?

L’opinione pubblica, da un lato, ha stigmatizzato gli assembramenti e i festeggiamenti nelle piazze senza rispettare il distanziamento né l’obbligo di indossare le mascherine, perché potrebbero portare a un aumento dei contagi. Dall’altro, però, ha capito che si è arrivati a questa decisione, a correre questo rischio, perché la gente ha bisogno di uscire, mentalmente e non solo, dalla situazione vissuta nell’ultimo anno e mezzo.

La Spagna è stata, con l’Italia, uno dei paesi più colpiti dalla pandemia, soprattutto nella seconda ondata. Come lo stato di emergenza, proclamato a ottobre, ha aiutato a contenere i contagi?



Ha avuto un impatto evidente. A Natale, in Spagna, sono state concesse maggiori aperture che in Italia e lì ha avuto inizio una terza ondata molto più anticipata e forte che qui da voi. A quel punto il governo Sanchez ha deciso di imporre misure molto stringenti, visto che la situazione era sfuggita di mano: si è salvato il Natale, ma si è pagato un prezzo abbastanza caro.

La Spagna ha avuto dunque un lockdown simile a quello italiano?

Sì, è stato introdotto subito dopo Natale, anche se cambiava un po’ da regione a regione. Non ci si poteva spostare da una regione all’altra, non si poteva uscire dal proprio comune, c’erano restrizioni al numero massimo di persone, non più di 4, che si potevano incontrare, e strette agli orari di bar, ristoranti, concerti, cinema e luoghi di possibili assembramenti. Questo lockdown ha funzionato, ma a un costo economico e sociale molto pesante.

Tuttavia la situazione oggi non è sotto controllo in tutto il paese.

La Spagna è regionalizzata come l’Italia e le regioni hanno abbastanza autonomia. La vittoria alle recenti elezioni amministrative di Madrid di Isabel Dìaz Ayuso, del Partito popolare, si spiega in parte con il fatto che lei aveva cercato un equilibrio diverso nelle riaperture per gestire la pandemia rispetto a quello che diceva il governo centrale e la stragrande maggioranza delle altre regioni.

Madrid è stata la città più aperturista. Ha contenuto bene l’epidemia?

C’è stato un momento in cui Madrid era la comunità che versava nella peggior situazione di tutto il paese. Alla fine si è cercato un equilibrio diverso, alzando la soglia del rischio, accettando cioè un numero più alto di malati, ricoveri e decessi rispetto ad altre regioni. Anche per una motivazione politica: la Ayuso ha deciso di assumere una posizione contraria rispetto a quella del governo centrale, e i risultati elettorali le hanno dato ragione, visto che ha raddoppiato i suoi consensi e il numero di seggi nel Parlamento locale. Lei ha puntato molto sullo slogan “Liberdad”, ma se si va a scavare si scopre che era soprattutto voglia di provare a riprendersi un po’ la vita e di tornare a una certa normalità dopo un anno e mezzo di privazioni.

E le sinistre come hanno gestito questa voglia di normalità degli spagnoli?

Hanno fatto una campagna elettorale basata su un’idea di fondo più triste, da Anni 30 del secolo scorso.

Nei Paesi Baschi e alle Canarie invece l’emergenza Covid non molla la presa. Perché?

E’ un paradosso: malgrado siano state introdotte misure molto stringenti, nei Paesi Baschi la situazione è ancora difficile rispetto a Madrid, che ha appunto adottato vincoli meno rigidi. Nei Paesi Baschi hanno pesato negli ultimi mesi due finali di Copa del Rey: una fra le due principali squadre basche, Athletic Bilbao e San Sebastian, e l’altra, quella dell’anno precedente ma disputata nel 2021, sempre giocata dall’Athletic Bilbao. Questi due eventi hanno creato assembramenti non solo nelle strade, ma anche nelle case, dove più persone si ritrovavano per vedere la partita in tv, essendo lo stadio chiuso. E dopo queste due finali si sono registrati aumenti dei contagi. Le restrizioni, insomma, non hanno funzionato allo stesso modo in tutti i territori.

La revoca del coprifuoco è stata accolta dalla gente tra abbracci e cori…

Gli assembramenti in molte piazze spagnole per festeggiare come se fosse la fine della pandemia sono assolutamente sbagliate. Ma si poteva facilmente immaginare che sarebbe successo qualcosa del genere, non a caso il governo è stato criticato per non aver saputo predisporre controlli adeguati.

Qual era lo stato d’animo degli spagnoli?

La gente è provata, non vede l’ora di uscire da questo tunnel. Per fortuna gli spagnoli non hanno dubbi sui vaccini: non vedono l’ora di immunizzarsi, di veder tornare i turisti, di riprendere una certa socialità, di stare insieme e all’aperto, tutte cose che sono nel loro Dna.

Il turismo ha subìto danni ingenti?

Nel 2019 il peso del turismo era pari al 12% del Pil spagnolo; nel 2020 questa incidenza, a livello nazionale, è crollata al 5,5%: più che dimezzata in un solo anno. Ma ci sono regioni, come le Baleari e le Canarie, che sono oggi in una situazione disperata: il turismo era il pilastro dell’economia di queste isole e un anno e mezzo di chiusura ha prodotto effetti devastanti.

Con questa voglia di ripartenza e con la revoca del coprifuoco che tipo di ripresa ci sarà in Spagna?

Con queste aperture si darà un po’ di ossigeno a persone, attività e aziende che hanno sofferto molto, nonostante sussidi economici che hanno funzionato bene e ammortizzatori sociali che hanno evitato tantissimi licenziamenti. Ma questi stimoli piano piano verranno meno. E per un ritorno alla normalità occorre che riaprano le frontiere: in Spagna più turisti arrivano, più soldi circolano.

Per mesi abbiamo visto le immagini e le testimonianze degli operatori spagnoli sopraffatti, come quelli italiani, dalle tante esperienze di fatica, dolore, stress cui sono stati sottoposti. Oggi?

Da una parte, temono che gli assembramenti di queste ore si trasformino prima o poi in ricoveri. Si portano ancora dietro il peso di tutti questi mesi di grande lavoro e dolore, quella stanchezza psicologica che assomiglia alla sindrome da stress che colpisce i soldati al ritorno dalla guerra. Ma, dall’altra, anche loro vogliono riprendersi la propria vita e sono consapevoli che si è abbassata tanto l’età media dei contagi e che in ospedale arrivano meno persone e con sintomi meno gravi, grazie alla campagna di vaccinazione e alle restrizioni.

Come procede la campagna vaccinale?

Quello che in Italia è stato un obiettivo da raggiungere, cioè le 500mila dosi somministrate al giorno, in Spagna è stato raggiunto prima, anche se la popolazione è inferiore a quella italiana. Gli over 70 hanno quasi tutti ricevuto almeno la prima dose.

Con questa linea aperturista anche in Spagna ci si è presi un “rischio ragionato”, come ha detto Draghi?

Sì, assolutamente: con queste aperture, ovviamente in concomitanza con una campagna vaccinale che sta procedendo bene, il paese ha accettato di correre un rischio ragionevole, Per i politici non sono decisioni facili da assumere, bisogna soppesare tanti fattori. Virologi, esperti e scienziati hanno sicuramente voce in capitolo, ma non sono gli unici.

(Marco Biscella)

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