“La mancanza di organizzazione è totale… possibile che più di 36 ore dopo non ci sia un soccorritore e tocchi ai sopravvissuti scavare a mani nude?” La voce è concitata, le frasi sono spezzate, impastate di rabbia e sgomento. Nihal Batdal, insegnante e traduttrice turca, già intervenuta sul Sussidiario, ci racconta un Paese disperato, quello delle province meridionali, distrutte dal terremoto del 6 febbraio, dove il numero delle vittime continua a salire – ieri il bilancio era di 7.900 morti –, i feriti non hanno assistenza, tante persone, migliaia, sono probabilmente ancora vive sotto le macerie e si stanno spegnendo. Nihal ha visto la casa tremare, si è precipitata in strada, ma la distanza dall’epicentro ha permesso a lei e alla sua famiglia di avere ancora un tetto sopra la testa. Conosceva molte persone nel cratere sismico. Di quasi tutte non ha notizie, alcune sono vive e le dicono ciò che siamo riusciti a riportare.
“È tutto finito” racconta Batdal. “Dove sono i soccorritori? siamo uno dei Paesi più sismici al mondo… dove sono? Ci avevano detto che avevamo gente che sapeva come fare, formata per queste cose. A Pazarcik, ad Hatay non c’è più niente, solo i sopravvissuti allo sbaraglio”.
È la macchina dei soccorsi che non funziona? O quello che è successo è così grave da rallentare tutto?
Tutte e due le cose. Probabilmente qualsiasi Stato sarebbe paralizzato, non so il Giappone, perché due terremoti così forti nell’arco di sette ore sono una cosa tremenda. Non sono scosse di assestamento, sono stati due terremoti fortissimi uno dopo l’altro. Va bene tutto, ma è così difficile venire a distribuire coperte, viveri? Le persone che sento sono disperate. Non chiedono gru o escavatori, ma cibo e coperte, medicazioni… Dicono che ci sono medici, infermieri volontari nelle città colpite, ma non riescono a curare i feriti recuperati dalle macere perché hanno detto loro di aspettare negli ospedali, dove i feriti non arriveranno mai perché mancano le ambulanze… Una disorganizzazione totale.
C’è un video in cui si vede un intero palazzo venire giù. Era solo uno dei tanti che sono crollati.
Sicuramente non c’è stata una urbanizzazione qualificata, tale da resistere a scosse del genere. I sismologi prevedevano da anni un disastro, ma non c’è stata nessuna risposta.
I soccorsi da chi dovrebbero dipendere? Dallo Stato centrale o dalle province?
Tocca allo Stato, abbiamo un sistema centralizzato. C’è l’Afad, una specie di protezione civile italiana legata al ministero degli Interni, ma non si sa esattamente cosa stia facendo. Dove sono? Poi, in molte città sono crollati edifici della stessa Afad, mancano soccorritori, manca tutto. Ci stiamo chiedendo tutti che fine hanno fatto i nostri soldi.
Quali soldi?
Dopo il terremoto del Mar di Marmara del 1999 (17mila morti, nda) è stata introdotta una tassa specifica destinata a far fronte ai terremoti. La paghiamo da 23 anni. Dove sono quei soldi? Un’amica che si è salvata mi ha detto che a Gaziantep tutto è lasciato alla volontà di quei poveretti che sono usciti salvi dalle macerie e che adesso stanno cercando con le loro mani di tirar fuori chi è ancora sotto. Nessun sostegno sistematico, pubblico, statale. Nulla, tutto è lasciato all’impegno dei singoli, che non possono e non devono essere caricati di un peso così.
Eppure sembra che qualcosa si stia muovendo, almeno questo dice la nostra informazione.
C’è una Ong che organizza le donazioni, sono bravi, fa capo a un cantante che si chiama Haluk Levent, lui è il presidente e in ogni catastrofe è sempre in prima linea. Ha buoni rapporti istituzionali. Nei sondaggi il suo ente è indicato come il più affidabile. A parte Haluk Levent, uno Stato, lo Stato turco, non ha ancora mandato tende e coperte! Non ha mobilitato nulla.
Cosa può dirci della zona più colpita, l’epicentro insomma?
L’unico motivo di consolazione è che in questa tragedia spaventosa c’è perfino una cosa positiva. Perché tutto questo è successo adesso, d’inverno.
Che cosa intende dire?
D’estate a Pazarcik la popolazione raddoppia, metà Pazarcik è in Italia, in Europa, a Milano c’è una comunità molto grande. E in estate rientrano. Ma quei turchi e curdi che stanno in Italia adesso hanno perso tutto. Con i soldi che guadagnano in Italia comprano casa in Turchia. I turchi e curdi che si trovano da voi vengono per lo più da lì, da Maras, Antep… Tutte città colpite, distrutte.
Anche il nord della Siria è stato devastato. Ma Antakya (Antiochia, provincia di Hatay) è turca ed a ridosso del confine.
Antakya è la città più multietnica, multireligiosa e multiculturale della Turchia. O meglio lo era, perché non è rimasto nulla. Ad Antakya c’è una comunità molto radicata di cristiani… Ora è tutto finito. Non so più cosa dire, basta così, per favore.
(Federico Ferraù)
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