Torno sul Decreto lavoro per approfondire questioni ancora opache nella speranza che si sviluppi coerenza. Il dibattito ancora in corso sul salario minimo, come quelli sulla settimana lavorativa ristretta o sul benessere aziendale, si incardinano sulla capacità di trovare accordi di reciproca soddisfazione tra le esigenze della comunità lavorativa e cioè sistemi retributivi premiali, programmi formativi, riforme dei sistemi di classificazione e inquadramento, piani di welfare aziendale, flessibilità oraria, forme di partecipazioni economico-finanziarie, coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni organizzative e strategiche dell’impresa: si tratta di leve che, se correttamente adoperate, possono incidere sulla produttività delle aziende e sulla qualità della esperienza delle persone che lavorano.
La contrattazione collettiva è leva fondamentale della dottrina del diritto del lavoro e della costruzione sociale dei mercati del lavoro e il diritto delle relazioni industriali e la formazione costante e aggiornata sui diritti e i doveri diventano gli strumenti che è indispensabile conoscere e saper trasmettere. Ecco perché le nuove norme del Decreto legge 48/2023 (Decreto lavoro) vanno approfondite con rigore per non rischiare di applicarle senza quella capacità di interpretare correttamente le modifiche che comportano soprattutto alcuni articoli. Per esempio, l’introduzione del nuovo Assegno di inclusione (art. 1) e del Supporto per la formazione e il lavoro (art. 12) a cui si collega la distinzione dei beneficiari del sussidio attraverso l’occupabilità o meno della persona tramite un criterio costruito su basi anagrafiche (minore di 18 anni o dai 60 anni in su) e sull’inabilità al lavoro. Il modello introdotto è basato sul concetto che, per le persone considerate occupabili, non occorra un sussidio generale, bensì solo un trasferimento economico connesso a una specifica attività che ne confermi l’attivazione, e da qui la forma dell’indennità di partecipazione.
Un principio di massima virtuoso se comunque non si tiene conto del fatto che a oggi i servizi per il lavoro hanno enormi difficoltà a garantire a tutti i percettori del sussidio un’opportunità di formazione e, tantomeno, un reinserimento lavorativo, perché presuppone quella sussidiarietà operativa tra ex Centri per l’impiego e agenzie di intermediazione, Terzo settore e struttura formativa pubblica e privata e rete delle imprese che non è generalmente operativa se non in pochissime rare realtà.
Vi è poi il problema delle risorse destinate alle quote previste per le indennità che sono infatti troppo limitate, soprattutto nel caso del sussidio riservato agli occupabili, per far fronte a una vita dignitosa. In una separazione tra occupabili e non occupabili che possiede un fondamento logico ci scontriamo con l’assenza di equità di trattamento e soprattutto con la non presa in considerazione di una riforma dei servizi per il lavoro: la questione è di grande evidenza nella complessità che si deve gestire.
Sempre partendo dalla contrattazione di prossimità dobbiamo agire con grande impulso sul versante del welfare aziendale che si incardina sull’articolo 40, “Misure fiscali per il welfare aziendale”, con il riconoscimento, limitatamente al periodo d’imposta 2023, di fringe benefit entro il limite complessivo di euro 3.000 per i soli lavoratori dipendenti con figli. I fringe benefit rappresentano uno strumento flessibile, non vincolato dalla finalità sociale, riconoscibili anche ad personam. Concordo con Emanuele Massagli sul fatto che si potevano adottare due alternative per spalmare questo intervento prevedendo a sistema strutturale e non solo per il 2023 la messa in sicurezza della soglia di 600 euro per tutti, con la possibilità di raddoppio fino a 1.200 solo per coloro con figli. Oppure la possibilità poteva riguardare invece il raddoppio fino a 1.200 solo in presenza della stipula di accordi o contratti con il sindacato, venendo dunque incontro all’esigenza esplicitata dalle parti sociali di un maggior coinvolgimento.
Dunque, secondo il decreto, la categoria bisognosa di copertura sociale (i lavoratori-genitori) ha un beneficio che, pur non essendo monetario, non ha alcun vincolo di realizzazione in servizi sociali che sono fondamentali per la flessibilità lavorativa e dunque per il famoso benessere organizzativo di cui tanto si parla affermando che le aziende sono competitive quando sono family friendly.
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