Mario Draghi riapre l’Italia in modo “irreversibile” anche se a tappe. Draghi spende e ribalta un dogma ultradecennale. Draghi fa debiti e lo giustifica (“la pandemia ha reso legittima la creazione di debito”, dice). Draghi scommette sulla crescita e s’attende “un rimbalzo molto forte nei prossimi mesi”.
speranzaDraghi sblocca i cantieri. Draghi vuole accelerare le vaccinazioni. Draghi farà anche le riforme e come? Abbiamo messo il punto interrogativo sull’ultima affermazione e vedremo perché. Ma non c’è dubbio che quella annunciata venerdì è una vera e propria sequenza di svolte alcune delle quali inattese. Il capo del governo ha parlato di “rischio ragionato”. Potremmo anche definirlo coraggio ragionato, perché non è certo facile gestire l’uscita dalla doppia crisi, sanitaria ed economica.
Abbiamo detto che la fine del lockdown avverrà per gradi, ne saremo fuori solo a giugno, ma chi lavora, chi studia, chi ha un’attività economica, anche i ristoranti, gli alberghi, i teatri, le spiagge, oggi può programmare la propria vita nei prossimi mesi, a meno che (facciamo gli scongiuri) non arrivi una nuova ondata di Covid-19. Draghi vuole evitare che manifestazioni sporadiche, per quanto tumultuose e pittoresche, diventino una marea inarrestabile. La sua, tuttavia, non è solo una mossa tattica o difensiva, bensì è una scelta ben ponderata di chi ha fiducia nella reazione del Paese e vuole aggiungere altra fiducia. Questo riguarda in particolare il debito pubblico.
Il cambio di paradigma a favore della crescita è basato su un’attenta osservazione dei mercati: Draghi ne conosce la logica e non fa una mossa senza valutarne le aspettative. È accaduto così nel 2012 quando il suo “whatever it takes” ha sfidato la speculazione sui debiti dei Paesi deboli, tra i quali l’Italia in primo luogo, ma era esattamente il messaggio che si attendevano i “re di denari”, le banche e i fondi d’investimento gonfi di titoli pubblici che rischiavano di far fallimento. Oggi l’aumento del debito fino al 160% del Pil non ha influito sullo spread che rimane attorno all’1%. Vedremo se terrà, ma questo dipende dalla credibilità del Governo, dal Recovery plan e dal successo della riapertura. E qui arrivano le incognite.
Cominciamo dalla campagna vaccinale. Siamo ancora indietro, l’obiettivo di 500mila inoculazioni giornaliere è lontano proprio mentre accelerano Paesi che erano partiti più lentamente come la Francia e la stessa Germania che è riuscita a toccare le 750mila unità. Il ministro Speranza ha annunciato l’arrivo di milioni di dosi e il presidente del Consiglio lo ha difeso, di lui si fida anche se come abbiamo visto Draghi ascolta tutti poi decide di testa sua. In ogni caso è la prima delle scommesse da vincere ed è la più importante.
La seconda riguarda i conti pubblici. Fare debito (sia buono che cattivo, almeno in questa fase) è inevitabile e il capo del Governo è convinto che le regole del gioco europeo cambieranno in modo consistente, forse radicale. Lo ha detto prendendo anche in questo caso un rischio razionale. È chiaro a tutti che un disavanzo dell’11,5% non potrà scendere sotto il 3% in tempi brevi nemmeno se il rimbalzo si trasformasse in una crescita all’americana. La Banca d’Italia prevede il 4% per quest’anno, il Governo 4,5%, vuol dire meno della metà rispetto alla caduta del 2020, il prodotto lordo del 2019 non verrà recuperato che alla fine del 2022 se non ci saranno intoppi. Con un’inflazione che resta sotto il 2%, il prodotto lordo nominale non aumenterà in modo tale da abbattere il debito pubblico in rapporto al Pil. La strada è lunga e accidentata e non prevede incidenti di percorso.
Draghi ha sbloccato i cantieri, venti quest’anno, e ha nominato 29 commissari che dovrebbero garantire lo snellimento delle procedure. Sono “figure di alta professionalità tecnico-amministrativa” a parte il presidente della regione Sicilia Musumeci. Tuttavia arrivano già i colpi di coda. La seconda lista (57 cantieri nel 2022 e 37 nel 2023) deve essere discussa con il Parlamento e il Senato ha presentato il suo elenco di opere prioritarie. Snellire non significa di per sé cambiare, dunque niente modello Genova escluso dal ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini.
Una prova importante riguarda anche il nuovo ciclo di sostegni anti-crisi per capire se verranno erogati più rapidamente e con parametri diversi. Il Governo resta diviso tra chi intende decidere in base alla perdita di fatturato oppure al calo della redditività. Draghi è per scegliere l’imponibile fiscale che verrà determinato entro il 30 novembre. Ciò vuol dire che i contributi arriveranno in ritardo.
Una serie di pesanti incognite, su misure fondamentali per la ripresa dell’economia. Ancor peggio se passiamo alle riforme, vera cartina di tornasole del Recovery plan. Le tre riforme chiave riguardano la giustizia, la Pubblica amministrazione e le imposte. Per le prime due non basterà certo presentare un elenco di assunzioni nei tribunali e nei ministeri o lo stock di computer del quale il Governo dovrà dotare un apparato pubblico borbonico. Occorre rivedere l’intera impalcatura, disboscare la giungla delle procedure, tagliare i nodi che riguardano le inchieste giudiziarie e i processi. Nelle cancellerie (per usare il linguaggio delle feluche) si attendono che non succedano più casi come quelli che hanno coinvolto la Finmeccanica o l’Eni, conclusi dopo anni perché “il fatto non sussiste”. Questo Governo si assumerà il rischio ragionato di sfidare la corporazione giudiziaria?
Molto insidiosa anche la riforma fiscale. Draghi ha parlato di un progetto organico e ambizioso, come quello degli anni 70 affidato a veri e propri luminari (allora furono Cesare Cosciani e Bruno Visentini). Vasto programma, vasto e complesso. Non sarà certo realizzato di qui al 2023, quando finisce la legislatura. Ma fin da ora bisogna capire in che direzione andare e con quali tempi, indicando il tutto già nel Recovery plan. Anche questo si aspettano a Bruxelles prima di staccare gli assegni.
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