Sappiamo tutti e siamo consapevoli che le scelte di oggi determineranno le condizioni di vita di domani. E in situazioni di grandi cambiamenti come quelli che stiamo vivendo uniti alle incertezze di una guerra come non eravamo più abitati nemmeno a pensare ogni errore più rivelarsi fatale. Con l’aggiunta che è persino difficile classificare l’errore dal momento che le conseguenze delle nostre decisioni si manifesteranno solo con il passare degli anni.



E tuttavia il momento è davvero di quelli critici, davanti come siamo a una così intricata rete di possibili opzioni da spaventare anche il più saggio e preparato ceto dirigente che la modernità abbia potuto selezionare. E in attesa che l’intelligenza artificiale diventi così evoluta dal sollevarci dal compito di provvedere al presente e al futuro saremo noi umani in carne e ossa a dover stabilire le direzioni da prendere incalzati come siamo dagli eventi.



Questa lunga premessa come cornice al quadro delle tante sfide che ci troviamo a fronteggiare. Tutte insieme, tutte complesse. La maggior parte delle quali pure interconnesse con quelle di numerosi attori terzi – istituzioni sovranazionali, altri Paesi e Continenti – che come noi si stanno interrogando e organizzando per trovare risposte e soluzioni al governo di società mai così fluide e difficili da gestire. Roba da sopraffina ingegneria delle regole.

Per limitarci al campo dell’economia – di per sé molto vasto per le implicazioni che comporta – si afferma la tendenza a riportare in vita un disegno di politica industriale che, come riconosciuto dal ministro alle Imprese e al Made in Italy Adolfo Urso, non compare in Italia da oltre trent’anni. Le forze indipendenti che di norma interagiscono con esiti lasciati alla libera composizione degli interessi in gioco hanno oggi bisogno di indicazioni.



Prendiamo il settore dell’auto, al centro di una trasformazione epocale che promette/minaccia ricadute pesanti su produttori e lavoratori. La transizione verde che passa per il progressivo abbassamento delle emissioni di carbonio fino al loro annullamento entro il 2050 è stata incanalata dall’Europa verso la tecnologia elettrica che penalizza gli operatori nazionali che invocano un percorso che tenga conto di altre possibilità a noi più congeniali.

Ci sarà battaglia intorno a questo argomento che si presenta come una bandiera a difesa dell’interesse nazionale pur nel rispetto dei macro obiettivi che si siamo impegnati (giustamente) a raggiungere. Ci sarà bisogno di entrare in partita sul reperimento delle materie prime strategiche senza le quali non ci sarà innovazione e si dovrà avviare un largo adeguamento delle competenze per scongiurare la deriva della disoccupazione di massa.

Le imprese italiane stanno dando prova di grande spirito di adattamento con risultati sul fronte del Pil e delle esportazioni più brillanti delle aspettative. Frutto anche della particolarità di un sistema fatto di piccole e medie realtà spesso leader mondiali nei rispettivi settori. Ma la forza lavoro spesso manca e i sindacati chiedono forti modifiche dell’assetto produttivo chiedendo in varie forme orari più brevi a parità di salario.

In gioco c’è il nodo della produttività che da noi appare difficile da sciogliere soprattutto per le condizioni a contorno resa da una Pubblica amministrazione attardata su schemi e preconcetti che non aiutano alla necessaria evoluzione. Con gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che incombono, il Paese discute intorno alla maggiore autonomia richiesta dalle regioni ricche alla ricerca di una maggiore capacità competitiva.

Insorgono i Comuni che temono di soccombere di fronte allo strapotere di quelle che verrebbero a configurarsi come vere e proprie mini-patrie spezzando funzioni che invece andrebbero configurate a livello superiore. E, insomma, appare sempre più difficile comporre un puzzle con tessere che rischiano di non combaciare in alcun modo anche se manovrate dalle mani più esperte.

Troppe partire si giocano sullo stesso terreno e mettere ordine non sarà facile.

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