Mentre i titoli di alcuni giornali richiamano l’attenzione sui nuovi, o meglio, rinnovati problemi del Governo e sugli screzi che attraversano le forze politiche che lo sostengono spostando il focus dai veri problemi, il contesto economico internazionale si fa via via più complesso. Perfino l’avvicinarsi della parità tra euro e dollaro, che in effetti dovrebbe sostenere l’export dei Paesi dell’Unione verso gli Stati Uniti e verso le aree legate alla moneta americana, preoccupa poiché rischia di far crescere ancora di più i prezzi di materie prime ed energia. Problemi questi con cui il manifatturiero europeo, e italiano in particolare, sta facendo i conti ormai da parecchi mesi. 



L’instabilità politico-economica determinata dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina ha ridotto lo slancio registrato nel 2021 dalle principali economie mondiali.

Inflazione in accelerazione; ostacoli al funzionamento delle catene di fornitura; aumento della volatilità dei mercati finanziari; ulteriori rialzi dei prezzi delle materie prime, di quelle energetiche e dei beni alimentari sono tutti fenomeni che fanno ormai parte del nostro quotidiano. 



Sulla base delle ultime previsioni formulate da Istat, il Pil del nostro Paese crescerà sia nel 2022 (+2,8%) che nel 2023 (+1,9%) mostrando però un forte rallentamento rispetto all’anno scorso. La crescita sarà sostenuta, ancora una volta, dagli investimenti.

Crescita sì, ma pur sempre rallentata è in sintesi quello che si aspetta, per il 2022, anche l’industria costruttrice di macchine utensili, robot e automazione rappresentata da UCIMU-SISTEMI PER PRODURRE. Secondo le previsioni formulate dal Centro Studi UCIMU, il trend positivo, iniziato nel 2021, proseguirà anche nel 2022 ma a ritmi più blandi.



La produzione supererà i 7 miliardi di euro, segnando così un nuovo record assoluto; l’export crescerà oltre i 3,6 miliardi, così da tornare sugli ottimi livelli di 4 anni fa, e le consegne sul mercato domestico otterranno un nuovo primato, attestandosi a più di 3,5 miliardi. Sarà però, ancora una volta, il consumo interno a distinguersi per il risultato migliore. Con un valore di 5,7 miliardi di euro, l’Italia si conferma tra i primi Paesi al mondo a investire nell’acquisto di macchine utensili. Il fatturato del settore nel complesso andrà oltre i 9 miliardi.

Sebbene i dati siano decisamente soddisfacenti, serpeggia una certa preoccupazione per il prossimo futuro. Gli imprenditori di questo settore, costituito da 400 imprese, per lo più di piccola e media dimensione, riuniti martedì alle porte di Milano in occasione della Annuale Assemblea Soci UCIMU, segnalano infatti di essere carichi di ordini, ma di dover combattere con le forniture di materiali, componenti e con il rincaro dei prezzi che lima i loro margini di guadagno. Hanno lavoro e commesse, ma rischiano di non poter produrre per scarsità di materie prime quali acciaio, ghisa, nichel – problema che in parte sta rientrando – e di componenti elettriche e elettroniche che fanno fatica a reperire sul mercato. 

Di fronte a questa situazione, i costruttori italiani mettono in campo tutta la loro competenza e flessibilità. Molti di loro lavorano alla reingegnerizzazione delle macchine e alla riprogettazione dei sistemi secondo nuovi standard, sulla base dei componenti disponibili sul mercato. Questo però è un impegno complesso e un modo di lavorare sempre in emergenza, che non può proseguire all’infinito. Poi c’è il vertiginoso incremento del costo dell’energia, che è il principale fattore che alimenta l’inflazione e che potrebbe aggravarsi anche prima dell’autunno. Per questo riteniamo fondamentali tutti gli interventi volti, da un lato, a trovare nuove fonti di approvvigionamento energetico e, dall’altro, a limitare la crescita spropositata dei prezzi. 

A questi problemi di breve o medio periodo si aggiunge, poi, la grande incertezza determinata dalla profonda trasformazione che interessa il settore automobilistico e tutto il suo enorme indotto, rispetto all’obiettivo definito dal Parlamento europeo di mettere fine, entro il 2035, alla produzione di veicoli con motore a combustione endotermica. Su questo tema il Governo ha espresso la posizione chiara dell’Italia circa la necessità di assicurare un passaggio graduale alla produzione verde di autoveicoli, in nome di quella che abbiamo definito “neutralità tecnologica”.

In Italia abbiamo una forte e radicata tradizione nell’industria dell’auto, che comprende non solo la produzione di veicoli, ma anche quella di componentistica, realizzata per lo più da piccole e medie aziende, presenti nelle catene di fornitura delle industrie automotive di tutto il mondo, a partire dalla Germania. Gli stessi costruttori di macchine utensili indirizzano circa il 50% della produzione a questo settore.

La crisi climatica è sicuramente un tema che riguarda tutti e che determinerà il futuro dei nostri figli. Non può però essere sacrificato tutto quanto è stato costruito negli anni dello sviluppo, dal dopoguerra a oggi, in nome di un piano che non tiene conto, di fatto, delle condizioni industriali dell’Unione europea e che, peggio ancora, non convince neppure sugli obiettivi green, perché non considera l’intero ciclo di vita di un veicolo elettrico. Tra l’altro, con questo piano rischiamo di consegnare il futuro della produzione di autoveicoli a imprese di altre aree del mondo, prima tra tutte la Cina, che dispongono delle materie prime per realizzare le batterie e sono più avanti di noi sul tema dell’elettrificazione dei motori.

Si tratta, quindi, di bilanciare correttamente gli interventi e di definire un’agenda con un timing ragionevole, che permetta la riconversione di quegli impianti che, giocoforza, dovranno orientarsi su nuove produzioni e settori alternativi. Il settore dei macchinari industriali è estremamente sensibile al tema della produzione verde, come testimoniato dal grande lavoro di ricerca e sviluppo svolto dalle aziende negli ultimi dieci anni sulla digitalizzazione delle macchine. Infatti, la tecnologia 4.0, presente nelle macchine utensili italiane di ultima generazione, è la risposta alla necessità di consegnare soluzioni tecnologiche in grado di garantire un approccio sostenibile all’intero processo produttivo.

Occorre che le autorità di governo ragionino su un provvedimento strutturale di incentivo alla sostituzione dei macchinari obsoleti e di introduzione di tecnologie 4.0. Contestualmente è necessaria la revisione della normativa sugli ammortamenti che è molto importante per le decisioni di investimento delle aziende. Le norme italiane sono ferme a tabelle stabilite nel 1988, ormai completamente obsolete nel rappresentare i tempi di deperimento dei moderni beni strumentali. Addirittura, ci sono tipologie di beni neppure previste dalle tabelle. Rispetto a questo punto, i nostri imprenditori sono in netto svantaggio rispetto ai colleghi esteri. Anche per questo è necessario intervenire al più presto, abbinando a questi interventi anche la semplificazione e l’allungamento dell’operatività della misura del credito di imposta per la formazione, fondamentale per attuare le profonde trasformazioni in atto nel modo di operare delle imprese manifatturiere. Sono le persone il fattore critico di successo di questi cambiamenti e i giovani in particolare.

Purtroppo, però, sebbene la transizione digitale abbia acceso un faro sul settore delle macchine utensili, incrementando il suo appeal presso i giovani e le famiglie, le aziende incontrano ancora grande difficoltà nel trovare personale qualificato da assumere.

Per questo riteniamo fondamentale un investimento importante da parte del paese su tutte quelle scuole di ogni ordine e grado – scuole professionali, istituti tecnici, ITS, università e corsi post-laurea – il cui indirizzo abbia diretto sbocco nel mondo della manifattura e di quella ad alto tasso di tecnologia, in particolare. 

I giovani sono il futuro non solo delle aziende, ma della nostra civiltà. Per questo motivo governare un Paese significa anzitutto pensare a chi lo guiderà negli anni a venire. La politica per essere tale deve necessariamente avere una visione di lungo periodo perché, come diceva Alcide De Gasperi, “un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”. 

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