Nel dibattito di questi giorni campeggia il tema del prezzo dei carburanti. L’informazione ha fatto un buon servizio mettendo a confronto i prezzi al distributore nei diversi Paesi europei. Il lavoro fatto ha evidenziato come il prezzo dei carburanti in Italia non sia dissimile da quello in altri Paesi e come altrettanto non sia dissimile la combinazione costo di produzione e accise che porta alla formazione del prezzo. L’argomento, dunque, considerato il notevole impatto che ha sull’opinione pubblica è diventato oggetto di scontro politico.
Andando ai fatti è indubitabile che la spesa per carburanti incide in maniera diretta e indiretta sui cittadini. Diretta perché l’uso dell’automobile per gli spostamenti è ancora un comportamento molto diffuso, ma anche una necessità in alcune aree del Paese dove il trasporto pubblico è inefficiente se non inesistente. Indiretta perché una buona percentuale delle merci continua a viaggiare su gomma e, quindi, l’aumento del prezzo dei carburanti si ripercuote sul prezzo di vendita dei beni già influenzato dal caro energia che incide sui costi di produzione.
Altrettanto scontato è il fatto che l’intervento del Governo Draghi sulle accise dovesse essere temporaneo per cui aveva una scadenza che secondo alcuni andava reiterata. A tal proposito le domande sono almeno due: andrebbe reiterato per farlo diventare stabile o si coglie l’occasione del mancato reitero per alimentare uno scontro politico mediatico perché siamo sempre, complice anche i sondaggi, in campagna elettorale?
L’assenza di dibattito in occasione dell’approvazione della Legge di bilancio non ci consentirà mai di sapere, quindi, se e quale forza politica avrebbe proposto la proroga dell’intervento sulle accise volto a contenere l’aumento del prezzo dei carburanti al distributore. Il prolungamento dell’intervento sulle accise richiederebbe risorse finanziarie che nessuno è stato in grado di dire dove debbano essere reperite. La scelta più facile sarebbe fare debito come si è fatto durante il Covid, ma la guerra in Ucraina, che ancora non ha un orizzonte di cessazione, non lo consente. Il nodo è proprio questo: in assenza di crescita le risorse a disposizione saranno sempre meno per cui occorre che si cominci a pensare oltre il quotidiano iniziando a programmare il futuro del Paese. Il cantiere delle riforme va percorso senza indugio affinché il sistema Paese sia reso maggiormente equo ed efficiente.
I salari non crescono e vengono erosi dall’inflazione indotta dalla crisi energetica. In questi anni l’unico intervento sul fronte salari è stato sul solco del bonus Renzi cresciuto dagli originari 80 euro ai 120 di oggi. Il ministro Calderone sta studiando come finanziarie la detassazione degli aumenti retributivi frutto dei rinnovi contrattuali per favorire la chiusura delle trattative e sostenere le retribuzioni dei lavoratori. La manovra per il 2023 ha dimezzato la cedolare secca che si applica ai premi di risultato che comunque non vale per tutti. È evidente, dunque, che la strada per incrementare il potere di acquisto dei salari ma più in generale del ceto medio passa attraverso l’utilizzo di una leva fiscale che sia in grado di offrire un sostegno ai redditi. Anche qui diventa centrale il tema delle risorse disponibili.
Ritornando a questi giorni non si può non osservare che analogo dibattito non ha coinvolto altri temi introdotti dalla Legge di bilancio: superbonus e crediti fiscali legati alle ristrutturazioni edilizie. A questo proposito tra le novità più rilevanti spicca l’estensione del numero di possibili cessioni dei crediti derivanti dai bonus edilizi. È stata prevista, infatti, la possibilità di operare un’ulteriore cessione dei crediti fiscali a banche e intermediari finanziari iscritti all’apposito albo, società appartenenti a un gruppo bancario iscritto all’albo ovvero imprese di assicurazione autorizzate a operare in Italia. Si è intervenuti, in riduzione, sull’entità dei bonus e sulle modalità con cui operare le cessioni e ciò potrebbe liberare risorse.
Per risolvere il tema delle coperture, dunque, diventa rilevante il tema delle riforme grazie alle quali dare efficienza al Paese e razionalizzare la spesa pubblica. La tentazione che potrebbe emergere è la riproposizione della patrimoniale che recupererebbe risorse nel breve periodo, ma non rappresenterebbe una soluzione strutturale e di prospettiva. C’è il rischio concreto che la patrimoniale possa essere usata per coprire un’esigenza di bilancio o conquistare consenso elettorale. In entrambi i casi il suo effetto si esaurirebbe rapidamente.
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