La notizia dell‘uccisione da parte degli Usa del capo militare e politico delle forze iraniane che operano sia in Siria che in Iraq, il generale Qassem Soleimani, così da impedire a Trump di fare la fine di Carter e di perdere le elezioni, non può farci dimenticare due cose. La prima è che, checché se ne dica sullo shale oil e sullo shale gas, il rifornimento energetico della potenza nordamericana proviene dalle sabbie del terminale dell’heartland, Arabia Saudita in testa, e quindi è inutile discettare sul disimpegno Usa dal Grande Medio Oriente, che non avverrà mai e poi mai, pena l’estinguersi degli Stati Uniti come super potenza. Per esserlo e non finire come la Russia e la Cina che sono grandi potenze militari senza la base economica necessaria, gli Usa hanno bisogno dell’autosufficienza energetica e se questa non è territoriale altro non può essere che militarmente raggiunta. La diplomazia segue e non precede, realisticamente intesa, la questione. Ma tutto questo non può farci dimenticare che tra le coste e le sabbie della Libia si consuma in questi giorni, in queste ore, un lungo ciclo della storia italiana alla ricerca della potenza e dell’interesse prevalente.



Il nesso tra potenza e interesse prevalente, per l’ Italia come per altre nazioni a tardiva unificazione e a debole potenza militare e a fragile comunità di destino, è più che mai scandito dalla sua potenza energetica, autoctona o militare ch’essa sia.

L’assassinio di Enrico Mattei nel 1962 voleva chiudere per sempre la ricerca indipendente e post coloniale dell’autonoma ricerca di potenza italiana. Per mano francese, della stessa destra fascista francese che puntò in quegli stessi giorni ad assassinare anche Charles De Gaulle, si mirava a espellere dall’Africa l’Italia utilizzando per far ciò la mano mafiosa. Ma quell’orribile assassinio, che tanti complici ebbe in Italia e in Francia, avvenne troppo tardi.



Mattei e Cefis avevano, infatti, pochi giorni prima stretto un patto che non era solo di non belligeranza, ma di accordo di lungo periodo con il Regno Unito e gli Usa proprio in merito al dominio concordato delle risorse energetiche dell’Africa del Nord e in prospettiva dell’Africa tutta, contro le pressioni inusitate dei francesi anti-gollisti. Mattei lavorò a lungo su questo tema, come documenta il bellissimo e fondamentale libro di Flavia De Lucia Lumeno Non li lasceremo soli. Italia, Francia e Algeria (1945-1958), pubblicato da Edicred, già ben prima della guerra e della rivoluzione algerina, con un reticolo di azioni diplomatiche e di intelligence che fondarono allora il soft power italiano che ancora oggi perdura.



È questo soft power che, prima disperso e poi pervicacemente intaccata da forze interne alle élite cosmopolite italiche – in alcuni periodi dominanti nella stessa Eni – e dalle forze esterne a queste élite collegate, come fu documentato da un bellissimo libro di Franco Briatico edito sì da Il Mulino ma poi ritirato dalle librerie in un lampo, e come emerse benissimo e ben più tragicamente nella guerra di Libia del 2011 diretta a eliminare Gheddafi e con lui la presenza italiana, è questo soft power che in queste ore in Libia e più in generale nel plesso nordafricano del Grande Medio Oriente, si sta smantellando a iniziare dall’Egitto con l’operazione Regeni. Operazione il cui significato doloroso non è stato mai ben inteso dalla cosiddetta opinione pubblica con gli articoli pubblicati nelle gazzette che giungono alle masse dei ceti medi in via di disgregazione e credenti nelle nuove forme di magia globalizzata, climatica ed energetica, in un’invenzione ideologica che meriterebbe le analisi e la penna di Ernesto De Martino e di Marcel Mauss.

Come emerge sempre più evidentemente, il conflitto turco-russo non esiste, né in Siria né in Libia e dietro l’incapacità militare di Haftar (preclara e di fatto enormemente utile affinché non si giunga mai a una soluzione militare) si preparano due azioni sincroniche. Da un lato la spartizione della Libia tra Arabia Saudita, Egitto, Turchia e Russia. Tutti ne trarranno una parte di bottino: gli egiziani la storicamente rivendicata Cirenaica, i sauditi l’emersione a potenza guida del Golfo e di parte del Grande Medio Oriente così come hanno anche tentato faticosamente di far emergere con l’Ipo a misura di Golfo dell’Aramco, i turchi rinnovando il disegno ottomano di estirpazione dell’Accordo Sykes-Picot, ritornando così a essere una potenza egemonica in lotta per la contendibilità del Mediterraneo, i russi ampliando il loro potere di dissuasione militare nel Mediterraneo.

Le infrastrutture energetiche per cementare questa nuova spartizione a geometria variabile hanno bisogno tuttavia sia dell’assenso francese nell’area, sia di quello Usa, indispensabile soprattutto dopo l’Ipo dell’Aramco. Il primo dovrebbe essere garantito da una fusione tra Eni e Total per raggiungere la quale lo stesso Governo attualmente in carica è nato (un disegno perseguito di già dalle élite cosmopolite al tempo del tentativo fallito di fusione dell’Eni con l’Elf Aquitane e poi con Repsol dopo averla spogliata delle risorse argentine che avrebbero dovuto indebolirla definitivamente, tentativo sventato da volontari eroi che s’immolarono sull’altare dell’amor di Patria e che un giorno dovranno essere ricordati alle nuove generazioni). Oggi quel tentativo ritorna con maggior forza e con l’assenso della componente cinese delle stesse (anche fisicamente) élite cosmopolite del tempo, proseguendo nel tentativo di spartizione franco-cinese dell’Africa.

La presenza nordamericana non era stata prevista, a conferma che la concezione spionistica e complottistica della storia non funziona mai. L’intransigenza iraniana e il rigurgito di dignità nazionale Usa non era stati previsti e questo può scompaginare le carte.

Dall’Italia si guarda tutto ciò con stupore, indifferenza soddisfazione, a seconda di quale fila di palchi occupino nel teatro le élite di cui sopra dicevo. Che ci siano anche élite sinceramente patriottiche, non nazionalistiche e quindi non esclusive ma inclusive per perseguire l’interesse prevalente italiano è indubbio, ma non riescono né a far sentire la loro voce, né a sottrarsi alla paura di terribili rappresaglie che incombe sulla loro testa. Sono pochi i “liberi e forti”.