Tornano in piazza in Iraq i superstiti del cosiddetto movimento della Rivoluzione d’ottobre, che esattamente un anno fa portarono per le strade il disagio di un popolo colpito da una gravissima crisi economica e da scissioni interne, quelle tra sunniti e sciiti, cavalcate dall’Iran nel tentativo di mantenere il controllo del paese. L’Iraq, infatti, svolge una funzione di Stato cuscinetto tra Iran e paesi arabi, una funzione al centro dell’interesse di paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi, Stati Uniti per farne una diga contro Teheran. Nel frattempo si infiamma l’Afghanistan, nonostante l’accordo del febbraio scorso tra Stati Uniti e talebani, con una serie di attentati contro le forze di governo. Secondo il generale Carlo Jean, esperto di strategia, docente e opinionista, “gli Stati Uniti hanno definitivamente abbandonato il sogno di fare dell’Iraq uno stato democratico, così come l’Afghanistan, un paese in mano a tribù diverse che rimarrà sempre uno stato tribale a meno che non torni in mano ai talebani. Un quadro destinato a portare sconvolgimenti nell’Asia centrale più che nel Medio Oriente”.



In Iraq negli ultimi giorni sono tornati in piazza i sostenitori del movimento Rivoluzione d’ottobre che sembravano del tutto scomparsi. Qual è attualmente la situazione politica nel paese?

La situazione vede le forze nazionalistiche che fanno capo al Grande Ayatollah Ali al-Sistani avere il sopravvento sulle forze filo-iraniane che cercano di mantenere il controllo del paese.



Si può dire che i manifestanti godano del supporto iraniano?

Sicuramente. Sono sostenuti perché il governo iracheno ormai da circa un anno è sempre più filo-saudita, anche perché l’Arabia Saudita rifornisce l’Iraq di aiuti economici.

Gli americani sono ancora presenti in Iraq? Che ruolo hanno?

Hanno ancora soldati, ma essenzialmente più per combattere l’estremismo islamico che per pacificare il paese. Hanno abbandonato il sogno di portare la democrazia in uno Stato islamico.

L’Iraq per la sua posizione geografica ha ancora un ruolo importante nel quadro del Medio Oriente?

È un paese cuscinetto tra Iran e Arabia Saudita. Quest’ultima, insieme a Stati Uniti ed Emirati Arabi, mira a trasformarlo in una diga contro l’espansionismo iraniano.



Nel frattempo l’Afghanistan è di nuovo travolto dagli attentati talebani. Trump sta ritirando le truppe americane, mentre Biden ha detto di volerne mandare di nuove per combattere il terrorismo.

La posizione di Biden è abbastanza irrealistica. Per quanti sforzi possano fare gli americani, non riusciranno mai a stabilizzare l’Afghanistan, resterà sempre uno stato tribale con clan in lotta fra di loro.

Questa situazione di perenne instabilità potrebbe permettere a paesi come l’Iran di infiltrarsi?

No, i talebani sono sunniti e fermerebbero ogni tentativo dell’Iran sciita. Il pericolo è piuttosto per l’Asia centrale, per paesi come l’Uzbekistan e il Tagikistan, che potrebbero essere coinvolti da una avanzata talebana. Il Tagikistan è meno a rischio in quanto qui è di stanza la 203esima divisione motorizzata russa, circa 30mila uomini che presidiano il territorio. L’Uzbekistan invece, per le difficoltà politiche interne e un po’ perché più infiltrato da gruppi estremisti radicali, corre maggiori pericoli.

Questo quadro come influenza lo scacchiere mediorientale?

Direi che non ha influenza sul Medio Oriente, gli Stati  più coinvolti, come detto, sono quelli dell’Asia centrale. In caso di presa del potere dei talebani in Afghanistan, gli sciiti rischiano di essere sterminati. Siamo davanti a una guerra tra le varie fazioni musulmane.