Un Paese in cui manca lo Stato e le milizie fanno il bello e cattivo tempo. L’Iraq del dopo Saddam Hussein è segnato dalla corruzione e dall’arbitrio, con ripercussioni soprattutto sulla comunità cristiana, i cui vescovi ora non possono più nemmeno amministrare i beni della Chiesa. Una situazione drammatica, spiega Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, che mette a rischio l’esistenza stessa dei cristiani in Iraq. Molti se ne sono già andati e altri stanno partendo, in particolare dopo la strage di Qaraqosh del settembre dell’anno scorso, dove sono morte 133 persone. La Pasqua per questo viene vissuta senza le grandi celebrazioni del passato, ma nella preghiera per alimentare la speranza di sopravvivenza di una comunità che si sente minacciata.
Il Medio Oriente è tornato al centro delle cronache internazionali, ma poche volte si sente parlare dell’Iraq. Qual è la situazione del Paese, come vive la gente?
La gente è molto preoccupata e ha paura del futuro perché questo Paese da tempo non ha stabilità. Le istituzioni sono deboli, non si fa rispettare la legge. Tutto è basato sulla tradizione. Noi abbiamo molto sofferto negli ultimi 20 anni, tanto che più di un milione di cristiani hanno lasciato il Paese: c’è corruzione, confusione politica, settarismo. Prima c’era più sicurezza. Saddam Hussein era un dittatore ma c’erano i tribunali, c’era una giustizia funzionante. Ora è arrivata la guerra in Palestina, che ha cambiato tutto anche in altri Paesi come Siria e Libano. I cristiani non sono tranquilli, non si sentono sicuri e non vedono un futuro migliore.
Gli iracheni riescono ad avere un’esistenza dignitosa? E i cristiani come vivono nelle loro comunità?
Non c’è rispetto per la vita degli altri, per i loro diritti e le loro attività. Tutto viene fatto senza preparazione, senza che si pensi veramente a quello che bisogna realizzare. Abbiamo visto rapimenti, omicidi, le case dei cristiani confiscate. Le milizie dominano la piana di Ninive, dove ci sono i villaggi dei cristiani, mettono tasse, si impossessano delle proprietà altrui. Non c’è giustizia. In Kurdistan da più di quattro mesi gli impiegati che lavorano per il governo non hanno ricevuto il salario. Il governo centrale doveva pensarci, si tratta di civili innocenti. Succede alla gente del Kurdistan, sono iracheni anche loro.
C’è la possibilità di lavorare?
C’è corruzione, coloro che stanno al governo rubano tutto. Il primo ministro attuale sta cercando di fare qualcosa, ma non è libero, non lo lasciano lavorare. Le milizie talvolta sono più forti dell’esercito iracheno. Sono musulmane, tranne una, di Babilonia, il cui capo si dice cristiano, ma non ha niente a che fare con il cristianesimo.
Ma la convivenza con il resto della comunità musulmana è pacifica? Ci sono buoni rapporti?
La gente è semplice, la popolazione non è fanatica, siamo rispettati da loro, soprattutto dopo la visita di Papa Francesco. Il problema è il futuro del Paese dal punto di vista economico e sociale. Ed è un problema di tutti gli iracheni.
Che segnale può dare la festa cristiana della Pasqua a una comunità così bersagliata?
Siamo gente di preghiera e speranza. Preghiamo per la pace, la stabilità, il rispetto della dignità umana. Non facciamo tanta festa come prima ma nelle chiese celebriamo le messe e preghiamo. Però in questi mesi ci hanno ritirato, a me come agli altri vescovi, il decreto che riconosce che un patriarca è capo della Chiesa e amministra le sue proprietà. Un’offesa senza ragione. Il presidente della Repubblica lo ha fatto dietro pressione della milizia Babilonia, che si dice cristiana. Questo perché io mi sono rifiutato di riconoscerla come milizia cristiana: si sono vendicati.
Non avere più il decreto che cosa significa per voi?
Non abbiamo più autorità. C’è un ufficio che si occupa dei beni delle chiese e hanno nominato come responsabile un rappresentante di questa milizia.
Un milione di cristiani ha già abbandonato l’Iraq. E adesso?
L’emigrazione continua. Dopo la tragedia di Qaraqosh, in cui 133 persone sono morte bruciate vive, la gente ha cominciato a partire. Le comunità cristiane sono sempre più piccole, se la situazione non cambia e l’Occidente non ci aiuta, fra qualche anno non ci saranno più cristiani.
(Paolo Rossetti)
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