La ormai quasi decennale guerra nello Yemen, causa di uno dei più grandi disastri umanitari degli ultimi tempi, si è stabilizzata dopo la tregua concordata nell’aprile del 2022 tra governo e ribelli houthi. Scaduta nello scorso ottobre, la tregua non è stata rinnovata, ma quantomeno ha portato a una consistente riduzione degli scontri tra le varie fazioni.



Pur rimanendo molto grave sotto il profilo umanitario, la situazione è migliorata per diversi aspetti, ad esempio con l’avvio di una soluzione del problema della petroliera Safer. Si tratta di una vecchia e malandata petroliera ormeggiata in una zona controllata dagli houthi, che minacciava di rilasciare in mare il suo carico di più di un milione di barili di petrolio. La Safer è stata svuotata nell’agosto di quest’anno con un’operazione supervisionata dall’Onu, evitando così una catastrofe ecologica. Un altro segno di miglioramento è la ripresa dei voli commerciali dall’aeroporto di Sanaa, interrotti dal 2016. Per quanto riguarda il possibile avviamento di un processo di pace, un segnale positivo arriva dall’apertura, sia pure del tutto iniziale, di colloqui tra governo e houthi.



La guerra in Ucraina ha spostato non solo l’attenzione mediatica, ma anche l’interesse geopolitico dalle altre guerre in corso, quindi anche da quella nello Yemen. Una delle conseguenze dell’attacco della Russia all’Ucraina è l’accelerazione del riassestamento delle relazioni internazionali. Al di fuori dell’Europa molti governi finora considerati nell’area occidentale hanno assunto posizioni più defilate di fronte alla questione ucraina, cioè al conflitto tra Washington e Mosca. Tra questi anche l’Arabia Saudita, come dimostra il recente accordo con l’Iran per la ripresa dei rapporti diplomatici, accordo firmato con la sponsorizzazione della Cina.



Come riportato in una analisi dell’Ispi, è dall’inizio del 2021 che la Repubblica Islamica ha attuato una politica di riavvicinamento con vari governi del Golfo, grazie alla mediazione dell’Oman, che ha portato alla ripresa delle relazioni diplomatiche con Kuwait e Emirati Arabi Uniti. Gli incontri all’origine dell’accordo con l’Arabia Saudita si sono svolti in Iraq, ulteriore segno di una ripresa in autonomia dei rapporti tra gli Stati della regione. Il rapporto Ispi, infatti, sottolinea il ruolo non di protagonista ma di sponsor della Cina, che non nasconde però il fatto che l’influenza cinese, come quella parallela della Russia, sia sempre più concreta in molti di questi Paesi.

Come nella guerra in Ucraina, anche nel conflitto yemenita è difficile ipotizzare una vittoria definitiva di uno dei contendenti, tanto più per lo Yemen, dove i contendenti sono almeno tre: il governo affiancato dai sauditi, i ribelli houthi sostenuti dall’Iran, i separatisti del Sud appoggiati dagli Emirati Arabi Uniti. Il perdurare della guerra in Ucraina finirebbe per logorare in modo pericoloso il regime moscovita, ma perfino negli Stati Uniti inizia a manifestarsi una certa stanchezza, come dimostrano le posizioni espresse da alcuni candidati repubblicani alle prossime presidenziali. Parallelamente i sauditi cominciano a non intravvedere più una grande utilità nella guerra yemenita, che forse pensavano, come i russi in Ucraina, di risolvere in poco tempo. Anche l’establishment americano comincia peraltro a essere stanco di questa guerra, a maggior ragione viste le mosse di allontanamento dell’Arabia Saudita, come la prossima adesione ai Brics, cioè a un gruppo di Paesi che si sta ponendo sempre più come alternativa al predominio statunitense.

A conferma di questo scenario, in una recente conferenza stampa l’inviato speciale degli Stati Uniti in Yemen, Tim Lenderking, ha fatto un’affermazione interessante: “Solo un accordo politico tra yemeniti può risolvere durevolmente questa guerra civile”. Può sembrare ovvio, ma è un sostanziale allontanamento dai principi a lungo dominanti la politica estera americana, il regime changing e il nation building. Lenderking sottolinea però la necessità che la comunità internazionale concorra effettivamente ed efficacemente a risolvere l’attuale drammatica situazione umanitaria e si impegni alla futura ricostruzione del Paese. Lo stesso problema che si pone per l’Ucraina.

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