Come rilevato in un precedente articolo, la guerra in Ucraina ha messo al centro dei commenti il principio dell’integrità territoriale e su questa base l’aggressione russa è stata giustamente condannata. Tuttavia, anche le democrazie occidentali non hanno sempre adottato questo principio con linearità.
Ne è un esempio la questione del Kosovo, tornata alla ribalta per il rischio di un nuovo conflitto con la Serbia. Il Kosovo è stato sottratto alla sovranità serba con settimane di bombardamenti da parte della Nato, ponendo così un parallelo con la situazione del Donbass nell’Ucraina, almeno sotto il profilo del citato principio. Paradossale è poi che, in concomitanza con l’emissione di un mandato di cattura per crimini di guerra contro Putin, sia andato sotto processo all’Aia Hashim Thaci. Thaci è l’ex presidente del Kosovo che ne proclamò l’indipendenza nel 2008, ora accusato di crimini di guerra insieme a tre comandanti dell’Esercito di liberazione del Kosovo.
Torna qui la domanda già posta se il principio della sovranità e integrità territoriale debba prescindere dalle modalità con cui lo Stato si è formato. Non solo, ma sorge anche un conflitto con un altro principio del diritto internazionale, un tempo considerato fondamentale: il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Questo principio è stato utilizzato, durante la Guerra fredda, dall’Unione Sovietica in funzione antioccidentale, con il sostegno ai movimenti indipendentisti soprattutto in Africa e in Medio Oriente.
Attualmente il principio sembra essere stato messo in secondo piano, forse per il timore dell’insorgere di nazionalismi che potrebbero produrre diffuse crisi sul piano internazionale. Come tutti gli “ismi”, nazionalismo denota un giudizio negativo rispetto al concetto di nazionalità, fondamentale nella definizione dei rapporti tra popoli. Dopo la Rivoluzione francese sembrerebbe prevalere il modello dello Stato basato su una sola nazione, imposta peraltro da un potere centrale. Eppure, se frutto della libera scelta dei popoli, ovvero del diritto alla autodeterminazione, la convivenza pacifica tra diverse nazioni in un unico Stato è possibile e fruttifera. Un esempio in tal senso è dato dalla Confederazione Elvetica.
Normalmente il termine “nazionalisti” viene usato per le minoranze che chiedono l’indipendenza, ma in realtà si è sempre in presenza di due nazionalismi contrapposti. Nel Kosovo vi è stato all’inizio lo scontro tra il nazionalismo serbo e le richieste dei nazionalisti kosovari; ora, nel Kosovo indipendente, si profila lo scontro tra la maggioranza albanese e la minoranza serba rimasta nel territorio kosovaro, sostenuta dalla Serbia.
L’aggressione russa all’Ucraina ha senza dubbio evidenziato la rinascita di un nazionalismo russo, mai peraltro scomparso. Come spesso accade, questo sentimento diffuso tra il popolo viene utilizzato dal regime moscovita come supporto alla sua guerra contro Kyiv. Non si può, però, negare l’esistenza di un nazionalismo ucraino, che non ha consentito la soluzione delle questioni poste dalla presenza di una consistente minoranza russa, all’origine della guerra che ha afflitto il Donbass dal 2014. Una posizione confermata dalla mancata applicazione degli Accordi di Minsk del 2015.
L’importanza delle modalità con cui vengono creati gli Stati è particolarmente evidente in Africa, perché i confini di gran parte degli Stati africani sono stati fissati sulla base delle conquiste coloniali, senza tener conto delle valenze etniche e storiche presenti al loro interno. La grande diversità esistente all’interno del continente ha reso l’Africa uno dei luoghi attualmente più in preda a conflitti, anche dove il sistema federativo avrebbe dovuto risolvere almeno in parte i problemi. È il caso della Nigeria, lo Stato più popoloso dell’Africa, dove negli anni 70 il tentativo di secessione degli ibo del Biafra provocò un milione di morti, in gran parte per fame. Tuttora permangono conflitti tra le varie etnie, uniti a persecuzioni dei musulmani contro i cristiani.
In Medio Oriente, lo scontro tra Arabia Saudita e Iran ha dato luogo alla pluriennale guerra nello Yemen, che contrappone sciiti a sunniti, a loro volta divisi in fazioni contrapposte. Il recente apparente riavvicinamento tra i regimi saudita e iraniano si spera possa portare a una tregua duratura e all’avvio di trattative, pur difficili, per una soluzione definitiva della questione.
Nella regione persiste il problema irrisolto da decenni della questione palestinese. La progressiva confessionalizzazione dello Stato di Israele ha portato al congelamento di fatto della politica dei “due Stati”. Il rischio di una nuova esplosione del conflitto tra israeliani e palestinesi, peraltro mai definitivamente sopito, sta diventando sempre più reale. A tutto questo si aggiunge il problema curdo, la cui indipendenza viene contestata dagli Stati in cui i curdi sono minoranza: Turchia, Iran, Iraq e Siria. In questi ultimi due Stati i curdi hanno raggiunto il controllo di propri territori, ma sono stati attaccati dalla Turchia, con violazione di entrambi i principi di integrità territoriale e autodeterminazione.
La Turchia è già stata protagonista della violazione della sovranità e integrità territoriale di Cipro, con la costituzione della Repubblica Turca di Cipro del Nord, in nome del principio di autodeterminazione dei turchi ciprioti. In fondo, una specie di Donbass mediterraneo, solo che la Turchia fa parte della Nato.
In Europa vi è anche il caso della Moldavia, divisa in due tra moldavi e russi della Transnistria, per la quale si teme possa riprodursi una situazione simile a quella ucraina. Anche all’interno dell’Ue i due principi vengono messi in contraddizione, come per esempio in Spagna, dove l’integrità dello Stato spagnolo si oppone all’autodeterminazione dei catalani. Ancora una volta, la contrapposizione tra due nazionalismi: quello castigliano contro quello catalano.
Forse la vera via d’uscita, accanto a forme statuali e referendum popolari, è quella indicata da Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca, sul Sussidiario: “Per Gesù Cristo Risorto, e per i suoi vicari in terra lungo i secoli, è proprio la comunione, il motore del movimento e del calore della vita non solo della Chiesa, e di ogni comunità, ma anche di ogni società, di ogni popolo e nazione”.
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