Giorgia corre, ma corre da sola? Ha vinto le elezioni politiche come guida di una coalizione con la Lega e con Forza Italia, però sta governando sempre più senza di loro, anzi contro, secondo gli oppositori interni al centro-destra. È vero in politica estera, ancor più in politica interna a mano a mano che si tratta di varare riforme e provvedimenti di lunga lena. Ma quanto può andare avanti? Gli esempi di Monti, Renzi, Salvini dimostrano che non è durato molto chi, inebriato dai consensi, fino al fatale 40%, ha voluto procedere in splendida solitudine. D’altro canto, chi si è fermato a raccogliere lamentele per accontentare private ambizioni, non ha combinato granché.
I risultati della Lombardia e del Lazio hanno fatto scrivere a molti di una vittoria secca della Meloni. Le cose sono più complesse, lo dimostra la conta dei voti in quantità confrontati con quelli delle politiche. In Lombardia la Lega aveva 671.814 voti alle politiche, ne ha ottenuti 653.562 alle regionali; Fratelli d’Italia, invece, 1.443.692 e 725.402. È ancora il primo partito, ma l’astensionismo ha penalizzato Meloni non Salvini. Lo stesso, sia pure con numeri diversi, è accaduto nel Lazio. La Lega in Lombardia, con i voti della lista Fontana, sfiora l’en plein. Il distacco da FdI che a settembre era intorno ai 750mila voti, si è ridotto a 75mila circa. Fratelli d’Italia invece ha fidelizzato solo il 50% degli elettori in Lombardia e il 64% nel Lazio.
Dunque Meloni ha perso parte della propria spinta propulsiva? Non è detto, probabilmente lei ha raccolto molto più voti d’opinione il 25 settembre, in ogni caso le previsioni di un crollo della Lega nella sua roccaforte si sono rivelate sbagliate. E questo è destinato ad avere una risonanza sul Governo. Non è un caso se Salvini, mentre Meloni era a Kyiv, un viaggio che non è piaciuto né ai leghisti, né a Berlusconi, ha aperto il fronte delle nomine, chiedendo un ricambio persino all’Eni dove la posizione di Claudio Descalzi sembrava inattaccabile.
Sul nuovo invio di armi all’Ucraina, Lega e Forza Italia fanno resistenza e si oppongono soprattutto agli aerei da combattimento; non sarà facile in Parlamento e su questo tema tanto sensibile Giorgia non può decidere da sola, magari insieme al fido Crosetto. Sulle spiagge, la presidente del Consiglio ha accolto le osservazioni di Sergio Mattarella e annuncia di mettersi al lavoro per “una soluzione strutturale” che eviti il ricorso alla proroga sulla quale hanno insistito i suoi alleati. Sulle tasse, Meloni ha annunciato “una legge delega che toccherà tutti i settori della fiscalità e metterà al centro i dipendenti e i pensionati”. Per Salvini al centro debbono essere le partite Iva e insiste sulla flat tax mentre Maurizio Leo, plenipotenziario fiscale di Fratelli d’Italia, lavora su più aliquote, anche se ridotte di numero e rimodulate.
Nessuno finora ha spiegato se l’impatto complessivo della riforma tributaria porterà a una riduzione della pressione fiscale rispetto al prodotto lordo e di quale entità. Per saperlo occorre attendere il Documento di economia e finanza ad aprile. Non è affatto un appuntamento tecnico, anzi quella è l’occasione per capire quale sarà la politica economica del Governo, perché quest’anno è prevalsa l’emergenza e, quindi, la piena continuità con la linea Draghi.
Il decreto Milleproroghe sul quale si è appuntata la critica del Quirinale (troppo vario e confuso, troppi decreti d’urgenza su materie che di per sé non sono urgenti e vanno discusse prima in Parlamento) contiene alcune novità sulla giustizia in attesa della riforma vera e propria sulla quale si manifestano le diverse sensibilità, come si suol dire, tra garantisti e giustizialisti, oltre a incontrare forti resistenze nella magistratura, soprattutto quella inquirente, presa di mira dal ministro Nordio il quale, essendo del mestiere, ha inquisito ad ampio raggio e s’è fatto amici e nemici.
Il Pnrr è anch’esso oggetto di discussioni, polemiche, tira e molla, bracci di ferro. Giorgia Meloni ha accentrato le decisioni a palazzo Chigi così come aveva fatto Draghi, che la stessa Meloni aveva attaccato quando era all’opposizione. Adesso, arrivata al Governo, si è resa conto che senza una regia unica, chiara e sotto la diretta responsabilità di chi guida l’Esecutivo, le spinte centrifughe sono destinate a prevalere. Se si sommano le debolezze delle amministrazioni locali, i particolarismi, l’aumento dei costi, il rischio è andare incontro a una serie di fallimenti. Il Governo ha detto che rispetterà il traguardo del 2026, è probabile che alla fine riesca ad ottenere una proroga da Bruxelles dove sta prevalendo un sano realismo, ma se hanno la meglio ritardi e confusioni, non ci saranno tregue. E s’interromperà anche il flusso denaro.
Al nostro elenco mancano le autonomie locali, con Fratelli d’Italia sensibile ai gridi di dolore del Mezzogiorno, i sostegni (che succederà quando scadranno il mese prossimo?), la giungla dei bonus e soprattutto il superbonus dal quale non si capisce come uscire, e potremmo aggiungere ancora altro. Non vogliamo comporre un cahier de doléance, né gettare tutto nel ventilatore. Ma è chiaro che il Governo e la maggioranza che lo sostiene debbono trovare non tanto degli accomodamenti tecnici, ma una visione comune che oggi manca.
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