Ieri Romano Prodi ha fatto irruzione immediata sulle prime pagine per gridare la sua delusione indignata per il Consiglio Ue che ha rinviato ReArm. Lui, past president della Commissione Ue, non sarebbe stato “troppo prudente” e avrebbe investito subito in armi 800 miliardi, a nuovo debito per 400 milioni di europei. Per lui si sarebbe dovuto decidere all’istante di dare priorità al riarmo Ue rispetto alla transizione energetica e al welfare, per difendere l’Europa dalla Russia di Putin ma soprattutto per allontanarla dagli Usa di Trump.
Magari dirottando una parte di ReArm sulla Cina, anzi: cogliendo l’occasione per capovolgere l’intero posizionamento geopolitico del Vecchio Continente dall’Occidente atlantico all’Asia cinese.
Nessun stupore, d’altronde, che poche ore dopo l’intervista rilasciata al Corriere della Sera da Prodi – attualmente titolare della Agnelli Chair of Italian Culture presso la Peking University – i media del Dragone abbiano riferito che Xi Jinping avrebbe offerto la sue adesione alla “lega dei Volenterosi” che Gran Bretagna e Francia stanno architettando in funzione anti-Usa. Scardinando nel frattempo Ue e Nato.
Prodi non si è capacitato di come la sua (ex) icona Ursula von der Leyen non sia riuscita l’altro giorno a compattare la Ue “in armi”: a cominciare da Emmanuel Macron e Olaf Scholz, mettendo nell’angolo l’Italia di Giorgia Meloni, non guerrafondaia e leale all’alleanza atlantica. Prodi non aveva avuto invece esitazioni, nel 2019, a manipolare l’Europa e “Ursula” per ribaltare una sconfitta elettorale (quella del Pd) in Italia; la stessa in cui sono poi incorsi sia il presidente francese che il cancelliere tedesco.
Ora la Ue sembra non bastare più per pilotare ribaltoni in singoli Paesi “che votano male”: occorre ribaltare l’intera Europa, dove il bunker eurocratico fra Bruxelles e Strasburgo non tiene più.
Pertanto, secondo l’ex presidente del Consiglio, la guerra russo-ucraina va continuata e sfruttata in altre forme, nell’estremo tentativo di arginare l’avanzata (democratica) di Donald Trump piuttosto che di Giorgia Meloni o Marine Le Pen, delle destre in Germania, Olanda, Belgio, Scandinavia, pronte alla rivincita perfino in Gran Bretagna. Esemplare del momento è stata la vicenda dei “dem” italiani, che nell’europarlamento erano in maggioranza pro-riarmo (cioè pro-Prodi), mentre la loro leader Elly Schlein era contro. Per ora si è però imposta lei: certamente con l’appoggio della piazza inizialmente chiamata da Repubblica “pro Europa” contro il governo Meloni.
A una settimana dal girotondo-Serra e con il teatrino-Ventotene ancora in corso, la stizza di Prodi rende invece visibile un’ennesima sconfitta dello schieramento progressista, forse non solo italiano. L’Europa si è mostrata più divisa e confusionaria della piazza che la invocava nuovamente contro il centrodestra al governo in Italia (ma ora anche in Francia e Germania). La Ue è rimasta indecisa su ReArm esattamente come Piazza del Popolo si è riempita e svuotata col dubbio che la Ue riarmista non fosse poi così “di sinistra”, “di Ventotene”, “di opposizione antifascista” eccetera.
Le bandiere arcobaleno si sono invece agitate molto in direzione del vicino Vaticano di Papa Francesco, netto nel suo richiamo anti-ReArm. A lui Meloni e Schlein sono alla fine parse più attente degli euro-cattodem riarmisti. Il gioco a tutto campo di Prodi – piuttosto che della Comunità di Sant’Egidio, unico soggetto cattolico presente in Piazza del Popolo – sembra d’altronde guardare con qualche speranza alle simpatie geopolitiche di un Pontefice nato nel Global South, da sempre aperto alla Cina e allergico invece all’Occidente euroamericano (tanto più dopo la svolta a Washington).
Il primo fronte che i cattodem prodiani intendono sfondare sembra essere però quello interno. Perché è evidente che l’irriducibile sangue agli occhi di Prodi nel voler vedere abbattuto il governo di centrodestra con qualsiasi mezzo – prima del novantesimo compleanno del Professore – va a parare sul vertice Pd, dove Schlein è ormai chiaramente intollerabile per il vecchio leader dell’Ulivo.
Il quale si affanna infatti ad avvertire che a tirare lui le fila dei cattodem è ancora lui (con il più che discreto appoggio del Quirinale). E ormai, par di capire, Prodi è disposto a mettere sul tavolo anche una scissione: un azzeramento della fusione del 2007 fra Margherita e Ds.
Non sarebbe certo la prima frattura in Italia nel più vasto orizzonte storico di centrosinistra. Fra antichi socialisti riformisti o massimalisti e vecchi socialisti nenniani o saragattiani; fra comunisti ortodossi e antagonisti, dal Manifesto a Fausto Bertinotti. Fra cattolici dopo l’implosione della Dc, dal distacco del Ccd dal Ppi fino a quello di Matteo Renzi dal Pd che pure gli aveva garantito mille giorni di “pieni poteri”.
Alla prova dei fatti, dal 1921 ad oggi, le scissioni hanno portato poca fortuna al centrosinistra italiano: e lo stesso Prodi guarda verosimilmente a uno scorporo del centro cattolico solo come primo passo verso un cordone “antifa” da Azione e +Europa fino a M5s. Naturalmente per issare a Palazzo Chigi un cattodem, magari esperto stagionato come Paolo Gentiloni piuttosto che mai collaudato come Ernesto Maria Ruffini.
La democrazia resta certamente sovrana. E nella sua vitalità è visibile in queste settimane il proliferare di club cattodem. L’ultimo si chiama “Drin Drin”, come ha annunciato qualche giorno fa Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani. Promotori ne sono l’economista italo-americano Michele Boldrin, già promotore della lista liberal/europeista “Fare per fermare il declino”, e l’imprenditore Alberto Forchielli.
Bolognese, Forchielli è noto soprattutto per aver fondato nel 2007 Mandarin Capital Partners, società di gestione di fondi d’investimento orientati a promuovere business sulla Via della Seta, fra Italia e Cina. Brand e mission sono stati cancellati in fretta (a favore del più neutro Mindful Capital Partners) sei settimane dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina.
Ma la Cina – che non è mai stata in millenni qualcosa di diverso da una dittatura imperial/burocratica, nazional/colonialista e militarista – resta evidentemente la sponda reale del “Sogno” prodiano di Roberto Benigni, profeta di un Manifesto di Ventotene né riveduto né corretto. E a leggere bene il loro Manifesto, i Ventoteniani avevano in mente in effetti un’Europa molto cinese nella sua fisionomia politico-economica.
I cristiano-democratici Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer costruirono poi nella democrazia l’Europa postbellica, negli anni in cui a Pechino nasceva la repubblica maoista. Oggi il cattodem Prodi sembra voler “fuoriuscire” a Pechino per salvare l’Europa dalla sua democrazia, ma forse solo perché gli europei non votano più per lui o per Macron. O magari solo per business.
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