In una lunga chiacchierata con L’Equipe ha parlato il ciclista italiano Damiano Caruso, in corsa al Tour de France 2019 con la Bahrain-Merida (autore di una corsa fantastica oggi nel tappone alpino sul Galibier) ecco l’affondo che non ti aspetti: sicilianissimo, primo gregario dello Squalo Vincenzo Nibali, Caruso tocca diversi temi dalla sua infanzia nella sua terra ai problemi attuali, lanciando non poche “stilettate” al “guru” dell’antimafia Roberto Saviano. «Mio padre è entrato in polizia dopo il servizio militare, non aveva lavoro e si è ritrovato a Palermo nel 1984 nella scorta del giudice Falcone, guardia del corpo negli anni di piombo, e aveva appena 19 anni», racconta Caruso ai colleghi dell’Equipe (riportato con ampi stralci tradotti su IlNapolista.it, ndr). Quei racconti del padre lo hanno sempre segnato, tanto da raccontare nello specifico l’impressione in lui sempre creata da quel senso di “ingiustizia” latente che aleggiava nella Sicilia di quegli anni: «Me ne parla con orgoglio e fierezza, col sentimento di aver vissuto momenti storici. Falcone è stato il primo a combattere apertamente la mafia. All’epoca era diverso, bisogna avere una sacro coraggio, un grande senso del sacrificio per mettere la propria vita in gioco, come ha fatto mio padre per un altro, per un milione e e 200mila delle vecchie lire, gli attuali 600 euro».



DAMIANO CARUSO, IL CICLISTA E LA SICILIA

A quel punto arriva la stoccata a Saviano, con l’intervistatore che attonito assiste all’attacco di Damiano Caruso, questa volta non sui pedali però: «La mafia bisogna raccontarla ma Saviano fa business, nella Serie Gomorra lui talvolta romanza, si fa bello ma vive di questo. Lui odia la mafia e se ne nutre. Falcone, invece, ha pagato con la vita». Stoccata anche a diversi suoi conterranei che sulla Sicilia si “sputano” spesso e che però non fanno nulla per cambiarla: «Il siciliano si lamenta facilmente e non fa nulla per cambiare le cose, ma io non piango mai. Vivo in Sicilia e ne sono felice. Spesso mi dicono: sei cretino a rimanere là, dai la metà dei tuoi guadagni allo Stato ma io mi rifiuto di farmi cambiare dal denaro e se mia moglie Ornella non avesse supportato la mia scelta di fare il ciclista, le mie assenze, mi sarei accontentato di una vita più tranquilla. Sì guadagno, ma non potrei mai vivere in 20 metri quadrati a Montecarlo o a Lugano. Abbandonare la Sicilia equivale a condannarla. Quando vado all’aeroporto, sono sereno perché so che la mia famiglia è tranquilla dov’è». Parole destinate sicuramente a lasciare qualche polemica, specie perché provenienti da un gregario di lusso nel ciclismo come Caruso, non certo avvezzo a polemiche politiche o sociali.



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