Il ricatto affettivo usato per ottenere denaro è estorsione sentimentale per la Cassazione. «Dammi i soldi o ti lascio» è reato. Lo ha stabilito con la sentenza numero 12633 del 27 marzo 2024 con cui ha condannato per estorsione un uomo che aveva indotto la compagna a consegnarli somme di denaro, sotto una generica e labile promessa di restituzione, altrimenti avrebbe messo fine alla loro relazione sentimentale. La donna di Rovigo aveva denunciato il compagno, allegando gli screenshot dei messaggi da cui sono emerse le richieste assidue di soldi condite da minacce, compresa quella di mettere fine al rapporto. I giudici della Suprema Corte hanno confermato, dunque, la condanna che era stata già pronunciata dal gup di Rovigo e in Appello, bocciando la tesi dei legali dell’uomo, secondo cui le richieste di denaro avvenivano nel contesto «di un loro menage consensuale caratterizzato da una forte violenza verbale ma mai coartato con la conseguenza che ogni dazione effettuata dalla donna era da ritenere pienamente frutto delle sue libere determinazioni».



Inoltre, i legali dell’imputato sostenevano che «le modalità di versamento tutte tracciabili e il fatto che l’imputato si fosse attivato per la restituzione escludevano che la parte offesa potesse considerarsi soggetto particolarmente vulnerabile». Una ricostruzione bocciata dalla Cassazione, ravvisando il reato di estorsione sentimentale in presenza «di una prevaricazione e sudditanza psicologica con richieste di denaro avanzate con toni aggressivi o minacciosi ma anche in modo larvato e subdolo».



“MESSAGGI WHATSAPP DIMOSTRANO SUDDITANZA PSICOLOGICA”

A provare il rapporto di prevaricazione le offese e minacce di morte. Quindi, la donna non poteva consegnare denaro all’uomo per libera scelta: era estorsione sentimentale. Per quanto riguarda l’uso dei messaggi WhatsApp e dei social come fonte di prova, i legali dell’imputato ne hanno contestato l’uso perché l’acquisizione è avvenuta senza un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria. Inoltre, avevano parlato di un linguaggio verbale nella coppia caratterizzato da una «forte violenza consensuale», ma per la Cassazione ciò non può far ritenere le dazioni spontanee, anzi sono state effettuate dalla persona offesa per salvaguardare la sua incolumità.



Ma per la Cassazione i messaggi hanno natura di documenti, quindi l’acquisizione è legittima attraverso la loro riproduzione fotografica. Non si applica la disciplina delle intercettazioni, in quanto non si capta un flusso di comunicazioni ma lo si documenta successivamente. Il contenuto dei messaggi poi, per i giudici della Suprema Corte, dimostra una condizione «di assoggettamento e sudditanza psicologica che il reiterato comportamento dell’imputato ha ingenerato nella persona offesa». Per quanto riguarda il linguaggio verbale, non ha niente a che vedere con le offese, gli insulti e le minacce, anche di interrompere la relazione in mancanza del versamento delle somme richieste. Esclusa l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, in quanto le somme non sono irrisorie e conta il pregiudizio sofferto dalla donna nella libertà fisica e morale.