La pace in Medio Oriente sembrava ad un passo dopo gli Accordi di Oslo del 1993. Palestina e Israele si riconoscevano come interlocutori ufficiali per la prima volta. In particolare, gli israeliani riconobbero l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) come autorità del popolo palestinese, che a sua volta riconobbe agli israeliani il diritto di esistere, rinunciando formalmente all’Intifada. «Gli accordi di Oslo furono anche il risultato dell’operato del Papa e il suo peso politico», precisa Nunzio Alfredo d’Angieri, oggi ambasciatore per gli Affari europei del Belize. Il diplomatico, che per oltre vent’anni è stato consigliere e negoziatore di Yasser Arafat, ne parla nell’intervista rilasciata al settimanale Novella 2000, spiegando cos’è cambiato dopo quello storico evento e perché ora la pace sembra lontanissima.



Pupi D’Angieri partecipò alle trattative che portarono agli Accordi di Oslo, quindi è anche testimone del lavoro svolto da Arafat e l’allora primo ministro israeliano Rabin. «Volevano la pace, avevano l’obiettivo di costruire un equilibrio tra due popoli in lotta da oltre 40 anni». Arrivare a quegli accordi non fu semplice, ma c’era da entrambe le parti la volontà di arrivare ad una pace. Infatti, d’Angieri ricorda ancora le parole dell’allora leader di Israele: «Serve riflessione, mettere da parte l’aggressività, analizzare la situazione senza rinfacciarci il passato, e partendo da qui trovare una soluzione». Anche Arafat era favorevole alla trattativa: «Voleva la pace, e sapeva tenere a bada gli estremisti che spingevano per la lotta armata. Odiava il terrorismo, lo ha sempre detestato». Uno degli obiettivi finali era quello di rendere Gerusalemme una città aperta, un territorio a tre religioni aperto al dialogo. «Un simbolo fortissimo per la pace». L’Occidente ha le sue responsabilità: «Questa è una guerra creata dall’Occidente, perché non ha fatto in modo che il popolo Ebreo avesse la sua terra, come pure il popolo Palestinese deve avere la sua terra».



L’INCONTRO CON WOJTYLA E IL FRENO DI ARAFAT AI TERRORISTI

Papa Wojtyla accolse Yasser Arafat in Vaticano nel 1982, quando la maggior parte del mondo considerava l’Olp come una realtà terroristica. Pupi d’Angeri, oltre a sottolineare che Arafat «non si muoveva senza prima aver parlato con Papa Giovanni Paolo II», a Novella 2000 racconta cosa disse il leader palestinese nell’incontro del 2002 col pontefice: «Sono venuto da lei, Sua Santità, per l’ultima volta, a salutarla». Quelle parole stupirono il Papa, ma Arafat spiegò: «Perché Sharon (presidente israeliano, ndr) mi farà uccidere». Nel 1995 fu ucciso da un estremista di destra ebreo. A proposito dello stop al processo di pace avviato da Arafat e Rabin, il diplomatico spiega che «gli ebrei non hanno rispettato gli accordi». Questo ha avuto un impatto molto forte, «ha dato potere agli estremisti palestinesi che si opponevano ai processi di pace».



Per d’Angieri, Hamas «è stata una reazione di insofferenza». Infatti, rimarca che «Arafat sapeva tenerli a bada». Senza Arafat e Rabin «sono mancati i leader che credevano nel dialogo». Proprio leader capaci aiuterebbero Israele e Palestina a trovare la pace, ma per il diplomatico servirebbe anche «una politica internazionale che disarmi gli estremisti sul nascere». A proposito del fatto che parla di ebrei, anziché di israeliani, d’Angieri chiarisce: «Israele non è un popolo, il popolo è Ebreo, la terra di Israele è una invenzione politica relativamente recente». Infine, a proposito del terrorismo, d’Angeri sottolinea 2000 che i terroristi che colpiscono l’Occidente non sono militari di Gaza, ma «immigrati che si radicalizzano perché vengono emarginati dalle nazioni in cui vivono».