Danis Siddiqui, reporter/fotografo premio Pulitzer, non è morto dopo essere stato raggiunto da un proiettile lungo il confine fra l’Afghanistan e il Pakistan, ma sarebbe stato giustiziato dai talebani. E’ questo quanto emerso nelle ultime ore e ricostruito dall’autorevole quotidiano della Grande Mela, New York Times. «Il 16 luglio il fotoreporter Danish Siddiqui, fotografo principale di Reuters in India, è stato ucciso in Afghanistan», si legge appunto sul NYT a cui fa eco il Washington Post, altro giornale di prestigio d’oltre oceano che scrive, in un articolo a firma Michael Rubin, ex funzionario del Pentagono oggi analista: «Non è stato semplicemente un danno collaterale; piuttosto, è stato brutalmente assassinato dai talebani».



Stando alle fonti afghane citate dallo stesso Rubin in maniera anonima, Siddiqui, reporter originario dell’India e che nel 2018 aveva ottenuto il premio Pulitzer dopo aver testimoniato gli errori sui Rohingya, si trovava nella regione di Spin Boldak, lungo la frontiera con il Pakistan, quando il suo convoglio è stato attaccato dai talebani; il gruppo si è quindi separato e il giornalista è rimasto al fianco di tre soldati afghani: «Durante questo assalto – si legge ancora sul Washington Post – una scheggia ha colpito Siddiqui, e così lui e la sua squadra si sono riparati in una moschea dove hanno ricevuto i primi soccorsi. Poi i talebani hanno attaccato di nuovo».



DANIS SIDDIQUI GIUSTIZIATO DAI TALEBANI: “ERA COME UNA ROCK STAR…”

I talebani pare abbiano preso d’assalto la moschea proprio perchè consci che al suo interno vi fosse il Premio Pultizer, dopo di che, una volta catturato lo hanno pestato e quindi giustiziato con una serie di proiettili, così come confermerebbe anche un video di cui lo stesso Rubin è in possesso.

«I talebani sono sempre brutali – aggiunge il giornale Usa – ma probabilmente hanno portato la loro crudeltà a un nuovo livello perché Siddiqui era indiano». I colleghi hanno commentato: «Era amato e rispettato, quando tornava da un incarico gli altri giornalisti lo salutavano come una rock star». Fino ad ora il Dipartimento di Stato Usa non ha rilasciato alcuna dichiarazione.