In questo articolo ci occupiamo dell’eventuale danno pensionistico subito dal lavoratore. In particolare ci chiediamo: quando un lavoratore subisce un danno pensionistico; quali sono i rimedi previsti dall’ordinamento in tal caso; se l’Inps può essere considerato responsabile dell’eventuale danno pensionistico.



Al riguardo, occorre fare alcune premesse. In primo luogo, il problema viene considerato con riferimento esclusivo al lavoratore subordinato. In generale, infatti, nel lavoro autonomo esso neppure ha ragione d’essere, salvo che per alcune categorie (collaboratori coordinati e continuativi, per i coadiuvanti/coadiutori familiari degli artigiani, dei commercianti e dei coltivatori diretti) su cui non è possibile soffermarsi.



In secondo luogo, va ricordato che il diritto a pensione matura in presenza (tra l’altro) di un requisito di anzianità contributiva, ossia richiede che siano accreditati presso l’ente previdenziale contributi pari a un certo numero di anni.

Da ultimo, la legge fa del datore di lavoro l’unico debitore della contribuzione verso l’ente previdenziale, anche per la quota eventualmente a carico del lavoratore (art. 2115c.c.), che resta, perciò, soggetto estraneo (terzo), rispetto al rapporto avente per oggetto i contributi.

Il problema del danno pensionistico nasce proprio da questa separazione fra debitore della contribuzione e beneficiario del trattamento pensionistico: cosa succede, infatti, se il datore di lavoro omette di versare i contributi dovuti? L’omissione può pregiudicare l’esistenza del diritto a pensione del lavoratore?



La risposta è positiva e dipende dall’applicazione parziale che il principio d’automaticità delle prestazioni (art. 2116 c.c.) ha nell’ambito pensionistico. Di norma, questo principio esclude che il lavoratore subisca le conseguenze dell’omissione contributiva, ma nel caso delle pensioni esso opera fintanto che il credito contributivo non sia prescritto. Secondo la legge, una volta maturata la prescrizione, l’ente previdenziale non può più ricevere o richiedere i contributi omessi e questi non sono più utili né per l’esistenza del diritto a pensione, né per la sua misura.

In tal caso può verificarsi un danno pensionistico, consistente nella perdita totale o parziale del trattamento. Il danno, però, non sussiste per il semplice fatto della prescrizione, perché il lavoratore potrebbe comunque non maturare il diritto a pensione per altre ragioni (ad esempio, perdita del lavoro). Esso si verifica quando l’ente previdenziale rigetta la domanda del lavoratore di accesso al trattamento, dunque non prima della maturazione (presunta) del requisito anagrafico (pensione di vecchiaia) o del solo requisito contributivo, (pensione anticipata).

Quando il danno si sia verificato, il lavoratore può agire nei confronti del datore con l’azione per il risarcimento dei danni (art. 2116, comma 2, c.c.). In alternativa, il lavoratore ha facoltà di chiedere all’ente previdenziale la costituzione di un c.d. rendita vitalizia, versando una somma corrispondente alla quota di pensione persa (art. 13, l. 1338/1962). La rendita potrebbe essere costituita spontaneamente anche dal datore di lavoro (ipotesi poco frequente) e il lavoratore, per esercitare la suddetta facoltà, deve preventivamente agire nei confronti del datore di lavoro e comunque fornire prova scritta dell’esistenza del rapporto (solo in forma scritta), della sua durata e della retribuzione percepita (anche in altra forma). L’azione per costituire la rendita vitalizia è esercitabile fin dal momento della prescrizione dei contributi previdenziali. Ciò nonostante, secondo l’orientamento concorde della giurisprudenza, la rendita non costituisce una prestazione previdenziale, ma è una forma di risarcimento del danno.

In entrambi i casi (art. 2116, comma 2, c.c. e art. 13, l. 1338/1962), queste somme, data la loro natura risarcitoria, possano formare oggetto di transazione fra il datore di lavoro e il lavoro.

Fuori da queste azioni, null’altro può fare il lavoratore a tutela della propria posizione pensionistica, neppure nell’ipotesi che l’ente abbia notizia dell’omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro e non si sia attivato per recuperali, lasciando decorrere il termine di prescrizione. In tal caso, data la terzietà del lavoratore dal rapporto contributivo, la giurisprudenza ha negato che egli possa agire per ottenere la condanna dell’ente previdenziale alla regolarizzazione della sua posizione contributiva.

In definitiva, la tutela del lavoratore rispetto alla possibilità di subire un pregiudizio nel godimento di un diritto fondamentale, qual è la pensione, resta affidata ad azioni risarcitorie d’incerto esito, data la dilatazione temporale della loro esperibilità rispetto all’omissione contributiva, oppure a oneri economici in capo allo stesso lavoratore. Al contempo, esente da qualsiasi responsabilità resta l’ente previdenziale, anche laddove non abbia effettivamente perseguito le proprie finalità istituzionali.

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