La notte del 14 settembre 1321 muore Dante Alighieri, autore della Divina Commedia. Il suo settecentesimo anniversario, che già da qualche tempo stiamo celebrando in quest’anno sfortunato, a ben vedere porta davanti ai nostri occhi una domanda drammatica. Non basta infatti la constatazione che il poema è probabilmente la più grande opera letteraria della storia a toglierci il dubbio insinuante: cosa ce ne facciamo, oggi, della poesia di Dante.
Il che, ovviamente, è estensibile a tutto il resto: cosa ce ne facciamo della poesia, dell’arte, della musica del passato, della tradizione? Sgombriamo il campo dalla scuola, dagli ambiti in cui si assolve al dovere istituzionale della conoscenza, veramente un po’ ipocrita. Fuori dall’ambito (sempre più ristretto tra l’altro) in cui si deve “fare” la Divina Commedia (proprio quello è il verbo bislacco con cui professori e studenti si esprimono: voi l’avete “fatta” la Divina Commedia? Cosa avete “fatto” di Dante?) che ne rimane? Domanda a forte rischio.
Cerca di rispondere un libro fresco di stampa, di una strepitosa semplicità: Leonardo Lugaresi, .Andare all’inferno (e uscirne) (MC edizioni, Milano 2021). Il titolo inizia con un punto, proprio così: l’idea di Maurizio Cecchetti, editore e curatore di collana, è quella di un segno che dia l’impressione di porre il libro all’interno di un’opera e un percorso più larghi. E qual è il percorso precedente in cui si inserisce la pubblicazione di questo libro?
Leonardo Lugaresi, professore di liceo in pensione ed esperto di letteratura patristica, è uno di quegli insegnanti, sempre più rari ahimè, che ha fatto un punto d’onore professionale leggere tutta la Commedia ai suoi ragazzi nel triennio superiore: tutti i canti delle tre cantiche, anche sacrificando all’occorrenza autori minori (e sacrificabili) della storia della letteratura. Non un accademico né un filologo, dunque: ma un insegnante, uno che accompagna e introduce. Scherzando con i ruoli, Dante è stato da sempre il suo Virgilio, sul lavoro e oltre.
Circa cento settimane prima della data dell’anniversario, ha avuto l’idea di rileggere la Commedia di nuovo, tutta, e in compagnia. Si è formato così un gruppo di lettura che legge, più o meno a cadenza settimanale, un canto: una comitiva dantesca tuttora in azione, naturalmente online dati i tempi, che segue passo passo la Divina Commedia, ascolta il commento dell’autore, interviene. E ne gode la poesia. Quegli incontri e quelle letture sono diventati post seguitissimi di un blog e infine questo libro.
Non è quello che si auspicava Dante stesso? Ecco ciò che voleva: che la lettura della sua opera ci mettesse insieme e ci facesse star bene. Seguendo, intanto, la straordinaria, davvero unica, declinazione dell’umano che ci ha dato in quest’opera.
Leggere questo libro è dunque ripercorrere quel metodo. L’esperimento funziona: a chi qui scrive è capitato che si riaccendesse il desiderio di riaprire la Commedia e di leggerla di nuovo come se fosse la prima volta. E, in qualche modo, non da solo. Senza voler essere retorici, è stato un po’ come togliere la polvere da un elemento grande e misterioso della tradizione.
D’altronde un collega di Dante, Boris Pasternak, al proposito, ha detto: “Da ognuno di noi la tradizione è venuta, a tutti ha promesso un volto e, in forme diverse, per tutti ha mantenuto la promessa. Tutti noi siamo diventati uomini solo in quanto abbiamo amato altri uomini o abbiamo avuto occasione di farlo. La tradizione non s’è mai appagata, trincerandosi dietro il nome d’un ambiente, dell’immagine sommaria creata sul suo conto, ma ci ha sempre inviato una delle sue eccezioni più spiccate. Perché mai la maggioranza si è dissolta nell’immagine della genericità corrente e appena sopportabile?”.
Se dovessi dunque evidenziare un pregio del libro di Lugaresi, è quello di averci restituito il volto umano di Dante. Lo fa anche concretamente, in realtà, quando mette in scena lo scrittore medievale che scrive in condizioni precarie, con poca luce, in esilio, “le dita rattrappite dal freddo”. Ma che ne è venuto fuori!
Con un balzo di settecento anni, seguendo i commenti canto per canto di Lugaresi, Dante diventa improvvisamente uno di noi. Capiamo perché ci riguarda, scendiamo con lui nell’inferno del nostro male, possiamo guardarlo perché non siamo soli (e uscirne, appunto). Questo perché Lugaresi vede Dante non come un dato della tradizione da cui soffiare via la polvere ogni tanto, entrando in una classe di liceo, ma come la promessa mantenuta della tradizione di un volto che ci venga incontro, per dirla con Pasternak. Seguendo lui, ci verrà il desiderio di rileggerlo, per la prima o per l’ennesima volta, e non solo. E non da solo.
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