Metti sul tavolo un professore carismatico come Franco Nembrini, profondo conoscitore della Divina Commedia e autore di un recente commento per la Mondadori; uno dei migliori disegnatori italiani, Gabriele Dell’Otto, con esperienze di lavoro nella mitica Marvel; una mostra multimediale intitolata Il mio Inferno, fatta di parole, immagini, suoni, videoclip, con tanto di un robot che declama i versi danteschi; un luogo affascinante, il Bastione delle Maddalene, ricavato dalla cinta muraria cinquecentesca di Verona, una serie di gallerie e di cunicoli sotterranei, che pare pensata appositamente per esporre una mostra sull’Inferno dantesco; un centinaio di studenti delle scuole superiori di Verona e di Desenzano, aderenti all’iniziativa nell’ambito del Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento), accuratamente formati per guidare compagni e visitatori; una sinergia tra l’Associazione Rivela – presente da anni sul territorio veronese per l’organizzazione e la promozione di mostre –, la Diocesi di Verona e l’amministrazione comunale della città scaligera.
Aggiungi una cospicua serie di sponsor generosi e intelligenti e un bel gruppo di volontari entusiasti e disponibili ad accompagnare e sostenere i ragazzi. Mescola tutti questi ingredienti, agita bene e avrai l’evento perfetto: appunto, la mostra multimediale Il mio Inferno. Dante profeta di speranza, ospitata a Verona, la città che fu per Dante il suo “primo rifugio” e “il primo ostello” e dove scrisse gran parte del Paradiso, la “sublime cantica” dedicata a Cangrande, signore di Verona.
Inaugurata solennemente in un teatro gremitissimo il 29 marzo, resterà aperta fino al 29 maggio: rivolta a studenti ma anche a tutti i visitatori, la mostra è già un successo. Gioca a favore, indubbiamente, il desiderio diffuso “di rivedere le stelle”, di uscire, di respirare, di godere insieme di cose belle e buone, anche grazie al parziale allentamento delle misure anti Covid.
Eppure, l’insieme di tutti questi elementi non basta a spiegare il fascino che avvertiamo scendendo le scale degli antichi bastioni, per indugiare su Paolo e Francesca, Farinata, Capaneo, Ulisse, lasciandoci scuotere dalle domande e dalle provocazioni incise sui muri e nei nostri cuori: “essere contenti è lo scopo della vita, accontentarsi è l’inferno”; “non è determinante quanto sei debole, quante volte sbagli, quanti peccati fai”; “perché non scegliere è peggio che scegliere il male?”.
Non bastano gli ingredienti, tutti buoni, a spiegare tutto questo. Il risultato è superiore alla somma dei fattori. Ci deve essere qualcosa di più: forse lo sguardo sorridente e non fuggitivo di quella ragazza, o quello commosso del “vecchio leone” Nembrini, che giura di “non avere mai visto una roba simile”. O sarà forse l’aria di Verona…
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