Nella giornata di ieri a Roma – presso il Trinity College – è stato presentato il progetto ‘Dante in movimento‘ pensato ed ideato per cadere (non a caso) poco dopo il 700esimo anniversario della morte del Sommo Poeta; padre figurativo della nostra amata lingua, della cultura cattolica che ancora oggi è predominante sul nostro territorio e – per certi versi – dell’intera civiltà italiana. Un tema e un progetto presentato anche sulle pagine di Repubblica che spiega come alla rassegna ‘Dante in movimento’ non prenderanno parte studiosi, esperti e letterari che al Sommo hanno dedicato parte della loro carriera e vita, ma bensì migranti provenienti da ogni parte del mondo (dall’Africa fino all’Ucraina, passando anche per la Cina e ogni angolo del Medio Oriente) che racconteranno la loro esperienza attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso; esattamente come fece il poeta fiorentino nella sua famosissima Commedia.



Sorgerà spontanea una domanda: cosa c’era il Sommo, esempio di italianità in tutto il mondo, con i migranti e i loro movimenti regionali? La risposta (ovvia?) è nulla, perché non c’è in una sola riga di tutta l’opera di Dante un solo rimando alle migrazioni; ma nell’ottica di chi ha ideato il progetto l’idea è che i 12 profughi ospiti della rassegna – citiamo direttamente la curatrice Jennifer Allsopp – racconteranno “le proprie esperienze” per presentare al pubblico “una nuova lente per avvicinarsi alla questione dei migranti” indossando i panni del Sommo.



L’accusa della Verità: “Dante trasformato in migrante per sponsorizzare i viaggi umanitari”

Ovviamente alla notizia della rassegna che reinventa Dante come un migrante sono sorte (non poche) voci contrarie tra cui quella del quotidiano La Verità che – nella persona di Marcello Veneziani – critica aspramente “l’indecente progetto ‘woke‘ sull’Alighieri” visto come un modo – se non “l’unico” – per “far sopravvivere [il Sommo] all’oblio, all’infamia e all’ingratitudine dei posteri” spacciandolo “per migrante”. Lo scopo – neanche tanto velato – è quello di far vestire a Dante i panni del migrante per contornarlo di tempi come “accoglienza, inclusione e diritti” trasformando “il suo viaggio nell’Aldilà [in] una metafora di una migrazione a bordo di una nave delle Ong“.



“Il tema – accusa ancora Veneziani – non è più la nostalgia della patria perduta o della civiltà perduta”, veri e proprio capisaldi della narrativa e poetica di Dante, “ma l’accoglienza, la cittadinanza e l’integrazione del migrante da noi”, facendo – insomma – del Sommo “un pretesto, al più un testimonial rubato al Medioevo per piazzarlo negli spot pubblicitari della nostra epoca”. Qual è lo scopo di tutto questo? Secondo Veneziani è semplice: “Rifiutare la nostra tradizione civile e religiosa, la nostra cultura, i nostri simboli e costumi; e rifiutare la connessione tra Dante e l’italianità, per renderlo sempre più straniero, migrante, magari di colore, in lotta per i diritti”.