“Perché accontentarsi del ruolo passivo del visitatore? Ti piacerebbe essere tu stesso Dante e riflettere sul destino di alcuni personaggi veneti di un tempo per provare a riflettere anche su te stesso? Non entrare qui come un viandante qualsiasi, ma prendi coscienza del valore dell’esistenza di cui sei chiamato a essere autore: la tua”.
Inizia così, con questo invito personale, il percorso “Cittadella e il Veneto nella Commedia di Dante”, realizzato da diversi enti e associazioni locali all’interno della Chiesa del Torresino fino al 23 agosto, in occasione dell’800esimo anniversario della fondazione di Cittadella (1220), la città murata nata come avamposto militare del Comune di Padova ai confini dei territori fra Treviso e Vicenza: una cinta di 1.460 metri, intramezzata da 4 torrioni, 12 torri quadrangolari e 16 torresini, il cui tracciato poligonale è il risultato di diversi interventi che si sono succeduti nel tempo.
Si tratta di un percorso-mostra audioguidato di 50 minuti tra Inferno, Purgatorio e Paradiso unica nel suo genere. Immersi in suggestive ambientazioni scenografiche, si ripercorre il viaggio dantesco senza l’ausilio di testi scritti, ma accompagnati “in cuffia” dalle musiche e dalle voci narranti, quelle di Alessandro Anderloni (che dà voce allo stesso Dante) e Stefania Carlesso (che ne ha curato adattamento e regia).
Come lasciarsi appassionare e incuriosire in questo percorso dantesco che fonde elementi di storia, letteratura e teatro? È proprio il Sommo Poeta a suggerirne la modalità: nel Convivio, infatti, Dante paragona la vita a un viaggio in cui nessuna tappa è la meta e lungo il quale l’uomo è guidato da un “istinto” che ci porta verso il bene.
A fare da bussola in questo tragitto di riflessione e di scoperta sono sei personaggi veneti citati nella Commedia: Ezzelino III da Romano, Jacopo da Sant’Andrea e Reginaldo Scrovegni nell’Inferno; Gherardo da Camino e Gherardo da San Zeno nel Purgatorio; Cunizza da Romano nel Paradiso.
Attraverso le loro vicende – raccontate sia dal punto di vista della prospettiva dantesca sia sotto l’ottica della fedele ricostruzione storica – il visitatore può “approfondire alcune tematiche dell’opera, in particolare quelle che testimoniano l’attualità del poeta, la sua sostanziale eternità, il suo collocarsi fuori dal tempo e dai costumi degli uomini”, a testimonianza che “l’interesse di Dante nei confronti dell’animo umano e della sua eticità lo rende un prezioso punto di riferimento per l’uomo d’oggi, in continua ricerca di risposte alle grandi domande della vita”: perché ci siamo? come ci siamo? come esserci al meglio?
Insomma, sei personaggi che parlano a ciascuno di noi, interpellano l’umano a soffermarsi sul ruolo che ciascuno è chiamato a svolgere nell’esistenza. Proprio come invitava il cardinale e teologo inglese san John Henry Newman: “Io sono stato creato per fare qualche cosa o per essere qualcosa per la quale non è stato creato nessun altro (…) Dio mi ha creato perché gli rendessi un particolare servizio; mi ha affidato un lavoro che non ha affidato ad altri (…) Non so come, ma sono necessario ai suoi fini (…) Non mi ha creato per nulla”.
La Commedia – divina per arditezza del tema trattato e umana perché specchio di virtù e vizi di ogni uomo, come in una lettera Dante spiegò a Cangrande della Scala, che lo ospitò a Verona dopo essere stato esiliato da Firenze – nella sua allegoria di raffigurare gli uomini come anime dopo la morte premiate o punite dalla giustizia divina è senza dubbio il più grandioso tentativo di dare risposta piena ai grandi interrogativi e alle scelte dell’esistenza, di fronte alle quali l’uomo deve mettere in gioco il suo “libero arbitrio”.
È questo il dramma della vita: la libertà. La libertà di mettere a frutto i talenti – il “particolare servizio” di cui parla Newman – che il buon Dio ci ha dato oppure di dilapidarli, cedendo alla corruzione, ai vizi, alla violenza. Ieri come oggi, come sempre.
È il “peccato” dei tre personaggi che Dante colloca all’Inferno. Ezzelino, signore della Marca trevigiana dal 1223 al 1259, che Dante incontra nel cerchio dei violenti: tiranno malvagio, persecutore di cristiani, una “belva che non ebbe mai pietà”, per cinque anni non esitò a inghiottire nella Torre di Malta, a Cittadella, tutti i suoi oppositori politici, lasciandoli poi morire di fame tra crudeli tormenti. Ezzelino è il simbolo di tutti i dittatori del Novecento.
Jacopo da Sant’Andrea, immerso come tutti gli scialacquatori nel bosco intricato senza sentieri del VII cerchio: nobile padovano, dilapidò in brevissimo tempo la sua eredità, gettando per puro divertimento le monete nel fiume Brenta, poi morì in miseria, suicida: la sua parabola esemplifica quello sfacelo dei beni come distruzione di se stessi.
Reginaldo Scrovegni, che viene incontro a Dante nel “sabbione rovente” di bestemmiatori e sodomiti, notissimo usuraio, reo di peccato contro l’arte, perché – come vigeva ai tempi di Dante – non si procacciò di che vivere con il lavoro, l’unica forma lecita di guadagno, bensì lucrando sull’interesse del denaro prestato alla povera gente.
Ma il vivere come bestie, suggerisce Dante, riduce l’uomo a schiavo, gli fa vivere una vita senza vita. Occorre una grazia, una luce (la parola “lume” ricorre nella Commedia 72 volte, di cui 56 nel Paradiso) che possa guidare l’uomo non solo verso la beatitudine eterna, ma anche verso la virtù, la perfezione, che è alla radice della felicità. Occorre, cioè, incontrare “L’amor che move il sole e l’altre stelle”.
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