Se avete sempre ritenuto che dare consigli agli altri fosse la cosa giusta da fare, soprattutto quando viene richiesto il vostro parere, sappiate che, involontariamente, avete commesso un’azione “immorale”. La definisce così Farbod Akhlaghi, filosofo del Christ’s College di Cambridge, il quale sostiene che tutti hanno il diritto di “essere autori di se stessi” e tale “autonomia rivelativa” viene violata anche dai consigli benevoli di amici e familiari sulle decisioni cruciali della vita.
Akhlaghi, si legge sul “The Guardian”, sostiene che è impossibile sapere se la vita di un amico trarrà beneficio da un nuovo lavoro, dalla nascita di un figlio o dalla frequentazione di un corso universitario, se non a giochi fatti. Spetta al diretto interessato, dunque, scegliere il da farsi in modo indipendente, senza consigli esterni, così da conoscere al meglio se stesso: “Non è il valore di fare una scelta in quanto tale, ma, piuttosto, quello di prendere autonomamente decisioni per capire quali siano le nostre preferenze e i nostri valori fondamentali. Perché fare autonomamente scelte trasformative quando le si affronta, decidere per noi stessi per imparare chi diventeremo, ci dà un grado di auto-autorialità”, ha commentato lo studioso.
FARBOD AKHLAGHI, FILOSOFO DI CAMBRIDGE: “DARE CONSIGLI AGLI ALTRI POTREBBE ESSERE DANNOSO”
Il documento di Akhlaghi afferma che è giustificabile interferire nella scelta trasformativa di qualcun altro “solo in base a considerazioni morali concorrenti, ad esempio se si rischia di arrecare danno ad altri”. Per il resto, meglio astenersi dal dare consigli, poiché “la capacità di vedere che la persona che siamo diventati è il prodotto di decisioni che abbiamo preso per noi stessi è molto importante. Ci sono molte ragioni diverse per cui potremmo cercare di intervenire nelle vite altrui, ma, qualunque sia la nostra motivazione, potremmo causare danni significativi, anche alle persone che amiamo di più”.
Secondo l’esperto, in conclusione, fornire consigli, argomenti o prove come se ci si trovasse in una posizione privilegiata rispetto all’esperienza dell’altra persona sarebbe irrispettoso del suo diritto morale all’autonomia rivelativa.